Quei pannelli di troppo

Oltre cinquemila impianti per una produzione di 95,4 GWh. Con queste cifre la Puglia è la regina italiana del fotovoltaico, e non solo. Sempre in questa regione si conta la maggiore potenza installata e la maggior produzione da fonte eolica nel Paese. Numeri imponenti e destinati ad aumentare; ma senza una pianificazione energetica, denunciano le associazioni: l’avanzata delle rinnovabili non è accompagnata da un programma regionale di dismissione delle fonti fossili e l’energia elettrica supera di molto le reali necessità. Così, complici le autorizzazioni facili e i lauti finanziamenti, imprenditori locali e grosse aziende straniere hanno ingaggiato una vera e propria corsa all’oro per accaparrarsi suoli votati all’agricoltura e al pascolo e impiantarvi filari di pannelli solari o torri eoliche, trasformandoli di fatto in aree industriali.

Secondo i dati del Gestore dei Servizi Elettrici, la Puglia ha la maggiore potenza installata da fotovoltaico: 214,4 Megawatt (Mw) contro i 126,3 della Lombardia e i 95 dell’Emilia Romagna (dati dicembre 2009). Ma anche gli impianti più grandi, con una dimensione media di 40,5 KW, e la più alta concentrazione di capacità per kmq (11,1 KW per km quadrato). Stessi numeri da record per l’eolico: Terna, ente gestore e proprietario della rete di trasmissione nazionale, ha stimato nel 2009 in 1.158 MW la potenza eolica installata in tutta la regione su un totale di 4.880 MW e in 500 MW la potenza autorizzata a maggio 2010. Eppure, il Piano Energetico Ambientale regionale (Pear) della Puglia conta di aumentare il contributo delle rinnovabili alla produzione di elettricità installando, tra eolico, fotovoltaico e biomasse, circa 5000 MW di potenza entro il 2016.

Cifre che farebbero pensare a un paradiso dell’energia pulita. Ma non è proprio così: le centrali termoelettriche che bruciano carbone, olio e gas producono ancora più del 90 per cento dell’energia elettrica consumata nella regione. Inoltre, sommando a questa produzione quella delle rinnovabili, la Puglia già nel 2008 faceva registrare l’86 per cento di energia in più rispetto ai consumi: 37 miliardi di chilowattora contro i 19,9 del suo fabbisogno (dati Terna). Il surplus viene esportato verso regioni meno ‘fortunate’. Tutto ciò senza alcun vantaggio per i cittadini pugliesi che non ricevono sgravi sulla bolletta e con un impatto non trascurabile su paesaggio e agricoltura. Sotto i pannelli e intorno alle pale il terreno diventa sterile a causa delle zone d’ombra e all’uso dei diserbanti, che inquinano anche le falde, e i chilometri di cavi elettrici e cabine ad alta tensione per il trasporto dell’energia prodotta non sono certo un bel vedere.

“La corsa alle rinnovabili è solo in parte il risultato degli incentivi”, spiega Antonio De Giorgi, ingegnere meccanico che ha svolto attività di consulenza nella gestione dell’energia presso varie amministrazioni locali. “C’è di mezzo una pianificazione che lascia ampi margini per l’installazione di parchi sovradimensionati, speculativi, avulsi dal contesto ambientale, sociale e produttivo della Regione”. Il riferimento è appunto al Pear, che giustifica la necessità di maggiore potenza da rinnovabili con due principi: “il primato pugliese della produzione elettrica e il principio di solidarietà energetica nei confronti di regioni meno dotate”, spiega De Giorgi. “Ma queste motivazioni si possono smontare con un corretto approccio scientifico. Non è la quantità assoluta della produzione un buon indice dell’evoluzione di un modello energetico, ma semmai l’efficienza con cui questa energia si impiega e l’efficacia delle azioni per ridurre i consumi. E in Puglia si fa poco o nulla in questi settori”. Anche la solidarietà, secondo De Giorgi, sarebbe solo un alibi: “Uno dei principi basilari nella pianificazione è che l’energia deve viaggiare il meno possibile. E’ sbagliato produrre energia in Puglia per esportarla per esempio in Campania, dove c’è un deficit del 60 per cento”, spiega l’ingegnere.

A favorire localizzazioni inappropriate è stata anche la legge regionale 31/08, bocciata il 26 marzo scorso dalla Corte Costituzionale, che ha permesso di installare impianti fino a 1 MW di potenza, pari a tre ettari di terreno, presentando una semplice autocertificazione al comune e bypassando quindi le valutazioni di impatto ambientale della Regione. Questo ha dato il via alla devastazione di aree di pregio e a un vero e proprio business. “Non sono solo gli imprenditori del settore ad assediare le amministrazioni locali ma una giungla di piccole aziende che si occupano di acquisire le varie autorizzazioni per poi rivendere i progetti approvati ai destinatari finali”, spiega De Giorgi, che denuncia anche il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nell’“affare rinnovabili”.

Sono nati così molti degli impianti del Salento, per esempio, dove si produce buona parte dell’energia fotovoltaica ed eolica della Puglia: 40 ettari di pannelli a Scorrano (Lecce), 90 ettari a Nardò, verso la costa ionica, in un’area di macchia mediterranea tutelata dal Piano paesaggistico. Ma anche il mega-eolico sta facendo gravi danni: decine di generatori, con torri alte un centinaio di metri e rotori dell’ordine di 80-90 metri di diametro, sono proposti presso la Lecce barocca, sulle serre salentine (Supersano, Collepasso, Parabita, Sannicola, Tuglie, Galatone), nel cuore della Grecìa Salentina (Martano, Martignano, Soleto, Castrignano dei Greci) o in preziose aree archeologiche con dolmen e menhir (Giuggianello, Giurdignano, Muro Leccese).

Cosa fare allora? Le associazioni di territorio (Italia Nostra, Forum Ambiente e Salute di Lecce, Coordinamento civico di Maglie, Associazione Grande Salento, e così via) chiedono un modello di sviluppo delle rinnovabili che non si traduca in consumo di territorio. E’ necessario individuare dei bacini (regionali o subregionali), dicono, all’interno dei quali quantificare i fabbisogni e le energie in qualità e quantità necessarie per soddisfarli. E poi avviare un’inversione di tendenza, spostando gli impianti dalle campagne alle città, favorendo la generazione diffusa (o microgenerazione) sulle case, sugli edifici pubblici, sulle aree industriali.

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