Quelle morti evitabili

Polmonite, morbillo, diarrea. Tutte malattie evitabili, ma che uccidono ogni giorno nel mondo oltre 26mila bambini sotto i cinque anni. Palma nera ancora una volta all’Africa sub-sahariana e all’Asia meridionale, dove è concentrato l’80 per cento dei decessi del 2006. Sono le cifre dell’ultimo rapporto dell’Unicef “La condizione dell’infanzia nel mondo. Nascere e crescere sani” presentato il 22 gennaio a Roma.

I progressi fatti con la diffusione dei sali reidratanti per via orale, da usare nel caso di malattie infettive e diarrea, hanno fatto scendere per la prima volta la mortalità annua da 0 a 5 anni sotto i 10 milioni (9,7 nel 2006). Ma il problema è grande. Le malattie delle vie respiratorie e le conseguenze, dirette e indirette, delle cattive condizioni di gravidanza e parto sono sempre al primo posto tra le cause della mortalità infantile, insieme agli effetti dei conflitti armati. Proprio queste, combinate con la malnutrizione cronica e con la malaria, continuano a fare strage di neonati e bambini. Il 36 per cento dei piccoli sotto i 5 anni muore per complicazioni neonatali, il 19 per cento di polmonite, il 17 per cento di diarrea, l’8 per cento di malaria, mentre il restante 4 e 3 per cento è dovuto a morbillo e Aids.

Progressi ce ne sono stati, ma non in tutti i paesi. Alcuni di quelli in via di sviluppo come Cuba, Sri Lanka e Siria hanno ottenuto i massimi risultati nella riduzione della mortalità infantile. Anche paesi poveri e con difficoltà enormi come Eritrea, Etiopia, Malawi e Mozambico sono riusciti a ridurre di oltre il 40 per cento la mortalità infantile dal 1990 a oggi. Mentre altri, come Sierra Leone e Angola, insieme all’Afghanistan, continuano ad avere i più alti tassi al mondo di mortalità infantile e anche di mortalità da parto: rispettivamente 270, 260 e 257 morti ogni mille nati vivi.
In generale, le regioni che non sembrano avviate a raggiungere il quarto obiettivo di sviluppo del millennio (Osm 4), che prevede la riduzione di due terzi della mortalità infantile entro il 2015, sono Medio Oriente e Nord Africa, Asia meridionale e Africa sub-sahariana. Dei 46 paesi dell’Africa sub sahariana, solo Capoverde,  Eritrea e Seichelles sono sulla via del raggiungimento dell’Osm 4.

Il rapporto, inoltre, mette in evidenza l’impatto positivo di misure salvavita semplici ed economicamente sostenibili, quali l’allattamento esclusivo al seno, le vaccinazioni, l’utilizzo di zanzariere trattate con insetticidi, la somministrazione di integratori di vitamina A. Che però, per essere efficaci, devono essere applicate in maniera continuativa ed erogate in modo capillare in tutte le aree, anche periferiche. Secondo le stime dell’Unicef, nell’Africa sub-sahariana l’applicazione di un pacchetto minimo di interventi essenziali (in grado di ridurre la mortalità infantile di oltre il 30 per cento e la mortalità materna di oltre il 15) potrebbe avere un costo aggiuntivo, rispetto ai programmi attuali, di 2-3 dollari pro capite. E con un costo di 12-15 dollari pro capite sarebbe possibile applicare un pacchetto più completo e continuo nel tempo di interventi, in grado di consentire una riduzione della mortalità infantile e di quella materna del 60 per cento. (r.p.).

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