Quello studio è un doppione

Con il crescere della produzione scientifica, mai stata così massiccia come in questi ultimi anni, aumenta anche il rischio di duplicazioni, sottomissioni multiple e plagi. Lo si è scoperto dati alla mano grazie a un motore di ricerca disponibile gratuitamente su Internet – eTBLAST –, messo a punto dai ricercatori del Southwestern Medical Center dell’Università del Texas, capace di mettere a confronto gli studi e individuare così gli studi a rischio.

Sebbene non esistano delle regole internazionali che permettono di individuare con precisione l’illecito, Mounir Errami e Harold Garner, due ricercatori dell’ateneo statunitense che hanno condotto la ricerca, individuano tre tipi di “reato”: la sottomissione contemporanea dello stesso studio a più testate da parte degli stessi autori; quella di uno studio leggermente diverso a firma degli stessi autori o di una lista di autori variata solo in minima parte (i cosiddetti “doppioni”); quella dello stesso studio da parte di ricercatori diversi (il classico plagio). Nel primo caso il danno è a carico delle riviste scientifiche il cui sistema di review è già piuttosto macchinoso, mentre il ricercatore aumenta il numero delle sue pubblicazioni indebitamente; nel secondo il rischio è anche quello di indurre una falsa percezione dei risultati ottenuti, come nel caso di molti doppioni di uno studio che comprova l’efficacia di un farmaco; nel terzo il danno è ovviamente a carico dello scienziato che si vede deprivato del risultato del proprio lavoro.

Il sistema è stato messo alla prova in primo momento su più di 62mila abstract pubblicati negli scorsi 12 anni su Medline, il più ampio database di articoli scientifici. Risultato: 421 potenziali duplicati che sono stati immessi in un registro a libero accesso, Déjà vu, Di questi lo 0,04 per cento era un possibile plagio. Una percentuale di per sé irrisoria ma se si applica ai 17 milioni di studi presenti nel database si arriva a un totale di potenziali plagi di 7 mila. I risultati, apparsi su “Bioinformatics”, comprendevano anche l’1,35 per cento di studi dove alcuni degli autori erano gli stessi e gli abstract sufficientemente simili da essere considerati dei veri e propri doppioni.

Nella seconda fase dello studio, che gli autori presentano su “Nature”, la ricerca è stata condotta su un campione più ampio, più di 7 milioni di abstract, dei quali 70.458 sono risultati molto simili fra loro. Che ora dovranno essere controllati a mano uno a uno per verificare che si tratti effettivamente di plagi o doppioni. Ma già sulla base di questi risultati i ricercatori identificano un trend: dal 1975 a oggi il numero di articoli molto simili fra loro è in costante crescita. In più, un’analisi per nazione individua un andamento proporzionale fra il numero di articoli pubblicati e quelli indiziati – gli Stati Uniti, il paese con più pubblicazioni al mondo, è anche quello con più studi sospettati – con l’eccezione di Cina e Giappone, per le quali il numero di articoli potenzialmente “doppi” è molto maggiore di quelli pubblicati. (l.g.)

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