Non saranno più le sole impronte digitali e il Dna a permettere agli investigatori di risalire all’identità di un sospettato. A quanto pare, infatti, anche i batteri presenti sul corpo lasciano un segno del nostro passaggio. È quello che emerge da uno studio pubblicato su Microbiome e condotto all’Argonne National Laboratory dell’Università di Chicago: i microbi che si trovano su vestiti, scarpe e cellulari, sono una vera e propria “firma” che consente di tracciare i nostri movimenti.
Lo scambio di germi tra il corpo umano e l’ambiente è un processo che avviene di continuo e oggi si può pensare di studiarlo per future applicazioni in ambito forense. La “firma batterica”, infatti, potrebbe aiutare a identificare i sospettati nelle indagini investigative e a ricostruirne gli spostamenti. “I batteri sono già stati usati per risalire a un individuo a partire dagli oggetti con cui è entrato in contatto – spiega Simon Lax, autore dello studio- ma quello che più ci interessa adesso è capire come le interazioni tra i microbi e l’ambiente cambino nel tempo, e se siano utili a rintracciare i movimenti di una persona”.
Lo studio ha inizialmente riguardato due volontari, a cui sono stati prelevati, tramite tamponi sterili, campioni di batteri da scarpe e cellulari. Inoltre sono stati analizzati i microbi presenti sul pavimento delle stanze in cui si muovevano le due persone, per un periodo di tempo di due giorni. L’analisi microbiologica delle scarpe ha mostrato come cambiava, nel tempo, la composizione batterica presente su di esse, tanto che i ricercatori erano in grado di dire dove il soggetto era stato, semplicemente dal tipo di germi presenti.
In un altro esperimento, i batteri trovati sui telefoni e le scarpe di 89 persone, scelte casualmente durante tre congressi scientifici, hanno permesso di capire a quale delle tre conferenze avessero partecipato i volontari. Le popolazioni di microbi variavano, infatti, in base alla localizzazione geografica.
“La microbiologia forense è una disciplina emergente e saranno necessari molti altri studi per comprenderne la vera utilità”, ha affermato Lax. Il prossimo step, continuano i ricercatori, sarà quindi l’analisi di un gruppo molto più grande di campioni per verificare la robustezza di questo metodo innovativo.
Riferimenti: Microbiome doi:10.1186/s40168-015-0082-9
Credits immagine: NIAID/Flickr CC
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