Schermi più luminosi con i Led del futuro

Schermi di smartphone, fotocamere, luci lampeggianti, telecomandi a infrarossi, televisori Lcd, lettori mp3. Tutti dispositivi con cui abbiamo a che fare ogni giorno e che si basano sullo stesso piccolo oggetto elettrico: il Led, diodo che emette luce. E tutti dispositivi che presto potrebbero diventare più luminosi, meno costosi e più eco-compatibili grazie a una ricerca dell’Università dello Utah, pubblicata su Science. Gli scienziati hanno infatti sfruttato le conoscenze sullo spin (un valore che definisce in che modo ogni particella ruota intorno al suo baricentro) per produrre una nuova generazione di Led.

Forse è un po’ presto per pensare a rimpiazzare gli anabbaglianti della macchina, dato che lo spin-OLED, questo il nome del nuovo oggetto, può emettere per ora solo luce color arancio; ma entro due anni si aggiungeranno alla lista anche il rosso e il blu; poi sarà la volta del bianco, e in soli cinque anni gli spin-oled potrebbero entrare sul mercato e sostituire i diodi in commercio.

Il nome del dispositivo già dice molto: significa Led organico spintronico, ovvero costituito prevalentemente di carbonio e che sfrutta le proprietà dello spin per immagazzinare le informazioni.

Le luci OLED esistono già: i display che usano questa tecnologia producono luce propria e per questo richiedono energia minore per funzionare e sono molto più sottili, arrivando addirittura ad essere pieghevoli o arrotolabili. Il nuovo Led – che come i precedenti ha dimensioni di circa 300 micrometri di lato – parte proprio da queste stesse caratteristiche, ma ne aggiunge altre che lo rendono ancor più interessante.

Uno spin-oled è composto di tre strati sovrapposti di materiali diversi, che in tutto non superano lo spessore di 40 nanometri (circa un millesimo di un capello umano). Uno dei tre è organico e funziona da semiconduttore, emettendo la luce arancione. Questo è schiacciato tra due elettrodi di metallo (ferromagneti) che, quando vengono percorsi da corrente, generano contemporaneamente carica negativa e positiva all’interno dello strato centrale (ovvero, iniettano elettroni o creano lacune elettromagnetiche, cioè i buchi lasciati dall’assenza di elettroni). Proprio l’incontro tra questi opposti genera luce: “Quando un elettrone si combina con una lacuna, questi si annullano a vicenda, producendo energia che viene rilasciata sotto forma di luce. Ovvero, quando si incontrano, formano i cosiddetti eccitoni: sono proprio questi a darci la radiazione luminosa”, spiega Valy Vardeny, docente all’Università dello Utah e autore senior dello studio.

Inoltre, quando un campo magnetico viene applicato al sistema, il momento angolare degli elettroni e delle lacune può essere allineato, in modo che questi siano paralleli o antiparalleli; in questo modo l’intensità della luce del diodo può essere controllata semplicemente modificando il campo magnetico stesso, invece che aumentando la corrente elettrica necessaria a farlo funzionare. Allo stesso modo potrà presto essere controllato anche il colore della radiazione emessa. “Appena affineremo la tecnica di produzione, ognuna delle nuove lucette potrà generare colori diversi semplicemente modulando il campo”, sottolinea Vardeny.

C’è però ancora un problema da risolvere: attualmente, perché lo spin-OLED possa funzionare, l’ambiente in cui lavora non deve superare i -2°C. Ma quando anche questo ostacolo sarà superato (secondo i ricercatori statunitensi ci vorranno circa cinque anni), le nuove luci potranno sostituire quelle attualmente in commercio, riducendo i costi e la produzione di rifiuti tossici degli attuali semiconduttori in silicio.

Riferimento: doi: 10.1126/science.1223444

Immagine: Un Led spintronico (al centro) emette luce arancione (Credit: Tho Nguyen, University of Utah)

Laura Berardi

Dopo essersi laureata in fisica presso Sapienza Università di Roma con una tesi in Meccanica quantistica, ha deciso di dedicarsi alla comunicazione scientifica: ha frequentato il Master SGP e si è diplomata nel 2011 con una dissertazione su scienza e mass media, nello specifico sul tema della procreazione medicalmente assistita. Oggi è redattrice scientifica a Quotidiano Sanità, collabora con Galileo e Sapere e scrive per Wired.

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