Scienza e industria a colloquio

La scienza è alla base dello sviluppo tecnologico, la tecnologia di quello scientifico. E’ questo circolo virtuoso che sta alla base del progresso, secondo Hendrik Casimir (1909-2000). Ovvero uno dei più importanti fisici teorici del secolo scorso, nonché direttore dei Philips Research Laboratories di Eindhoven, Olanda, fino al 1972. Alle sue idee fa riferimento il Casimir Project, nato per iniziativa di alcuni ricercatori del dipartimento di Fisica dell’Università Statale di Milano in collaborazione con la azienda catanese ST-Microelectronics, l’Associazione Marie Curie Fellowship e l’Associazione Dottorandi e Dottori di Ricerca Italiani. Obiettivo: indagare le possibilità di osmosi fra ricerca e industria. E, soprattutto, convincere l’industria italiana a investire nella ricerca fondamentale e applicata nonché promuovere e valorizzare il ruolo del dottorato all’interno delle aziende. Per avviare il circolo virtuoso della “spirale scienza-tecnologia”, lo scorso 30 giugno a Milano i promotori del Casimir Project hanno organizzato un workshop al quale hanno partecipato esponenti del mondo della ricerca, dell’industria e delle istituzioni. Galileo ha chiesto a Nora Brambilla, ricercatrice dell’Università di Milano e fra i responsabili dell’organizzazione, di raccontare cosa è emerso dall’incontro.Dottoressa Brambilla qual è il rapporto fra ricerca e sviluppo in Italia?“Purtroppo siamo in condizioni critiche. La percentuale di ricercatori è circa metà della media europea, a livelli inferiori rispetto a Portogallo e Grecia. Anche la percentuale del Pil investito nella scienza è pari all’1 per cento, a fronte dell’1,9 per cento europeo, e del 3 per cento degli Usa e del Giappone. Il dato più interessante, però, riguarda la provenienza degli investimenti nella ricerca. L’anomalia italiana è che questi vengono esclusivamente dalle poche risorse fornite dallo Stato. In altre parole, l’investimento privato è drammaticamente inferiore rispetto a quello degli altri paesi. Inoltre, c’è una pericolosa chiusura nei confronti dell’innovazione tecnologica in una parte del mondo aziendale. Ne è un sintomo il fatto che l’aver conseguito un dottorato, che è la formazione ideale per la soluzione creativa dei problemi, è uno svantaggio per chi cerca lavoro nel privato”. Come si spiega questa situazione?“Ci sono prima di tutto motivi storici. In passato una parte della ricerca veniva portata avanti da parte delle grandi industrie statali. Quando queste sono state privatizzate, spesso le attività scientifiche sono state tagliate. Inoltre, l’industria italiana può contare sui vantaggi del basso costo della manodopera dipendente, e per questo non sente il bisogno d’innovazione. C’è poi un fattore di mentalità: se è vero che in Italia ci sono molte piccole e medie imprese, che non possono permettersi di finanziare attività con tempi di “ritorno” a lungo termine, c’è da dire che nemmeno le grandi aziende investono in questo senso. Organizzando questo convegno ho notato una certa difficoltà nell’entrare in contatto col mondo aziendale, insieme a una mancanza di sensibilità in quello istituzionale. Effettivamente, anche la politica gioca il suo ruolo, perché dovrebbe incentivare l’iniziativa privata”.Quale dovrebbero essere, allora, il ruolo dello Stato e quello dell’impresa?“Naturalmente, lo Stato svolge un ruolo ineliminabile. Infatti, deve fornire il nocciolo duro di risorse per la ricerca. Ma è il privato che deve mettere a disposizione quello che manca. Che non è poco. Basti pensare che l’Unione Europea si è riproposta di arrivare entro il 2010 a dedicare alla ricerca il 3 per cento del suo Pil. Di questi fondi, circa i due terzi dovrebbero provenire da privati. E non si tratta di investimenti a breve termine. Il modello potrebbe essere la Philips, che impiega una parte consistente del suo fatturato nella ricerca di base. Come ha raccontato al convegno il suo rappresentante, il Martin Schuurmans, questo investimento è direttamente correlato al successo e al profitto dell’azienda”.Quali iniziative avete pensato per promuovere gli sviluppi che auspicate? “In primo luogo organizzeremo il Casimir Network, che raccoglierà industrie, università e istituzioni interessate a trovare un punto d’incontro. Poi promuoveremo le Casimir Lectures, lezioni tenute da rappresentanti di questi mondi diversi, dalle quali speriamo che emergano dei ponti fra di essi. L’obiettivo è quello di creare un ambiente fluido, nel quale ci sia un continuo interscambio fra industria e ricerca”.

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