Pensate a quando lo smartphone vi scivola di mano e cercate rapidamente di recuperarlo prima che cada a terra. Oppure a quando spremete il tubetto di dentifricio stando attenti a non farlo uscire tutto. Sono gesti quotidiani in cui il senso del tatto, un giusto movimento e la capacità di dosare la forza sono tutto. Scontati, naturali, ma non per chi ha perso un arto e ha una protesi. Tanto che la sfida oggi è creare protesi che consentano movimenti sempre più precisi, e che permettano sempre più se possibile di sentire l’arto, di percepirlo come parte di sé. E’ in questa direzione che va il lavoro di un gruppo dell’Università della tecnologia a Chalmers, in Svezia, che ha creato e testato su acluni volontari un prototipo di protesi per l’arto superiore molto efficiente e preciso. Che riconosce le caratteristiche e la consistenza di un oggetto e dosa la forza necessaria per tenerlo e manipolarlo. I risultati sono pubblicati sul New England Journal of Medicine.
Quando muoviamo braccia e mani per prendere un oggetto sappiamo quanta forza più o meno dovremmo impiegare. Anche se non lo sappiamo riusciamo a regolarla in tempi brevi, dato che al nostro cervello arriva un feedback sull’efficacia del movimento, sulla presa e sulla pressione che dobbiamo esercitare. Queste e altre sensazioni ci dicono se i gesti eseguiti sono adatti all’azione. Questo è anche quello che viene a mancare a chi non ha più un arto e che con le tradizionali protesi non riesce a dosare finemente i movimenti, sentendo il nuovo arto come qualcosa fuori di estraneo. Per questo, la sfida attuale, non solo dei ricercatori impegnati nel campo, anche italiani, è trovare sistemi che possano migliorare la sensibilità delle protesi.
La novità della protesi dei ricercatori svedesi, ancorata alla parte ossea del moncone, sta nell’uso di elettrodi inseriti nei muscoli e nei nervi, che rappresentano l’anello di congiunzione fra l’arto e il cervello. Questa protesi veicola la comunicazione fra cervello e braccio e permette la trasmissione di stimoli e impulsi dai muscoli e dai nervi al cervello e viceversa. Qui un’immagine.
Ecco come funziona: i sensori del tatto nel pollice della protesi generano uno stimolo tattile, convertito nella protesi in un segnale elettrico. Questo segnale contiene l’informazione (es. “quanta forza è necessaria per sollevare un determinato oggetto”). Il segnale arriva ai nervi del moncone e poi viene inviato al cervello che riceve l’informazione della pressione a cui è soggetta la mano. “Abbiamo ulteriormente migliorato l’uso della protesi”, ha spiegato Max Ortiz Catalan, ricercatore del dipartimento di ingegneria elettrica alla Chalmers. “In pratica abbiamo integrato la percezione tattile che i pazienti usano per controllare con quale forza devono afferrare o strizzare un oggetto”. Questo vale anche quando l’oggetto è molle o cambia consistenza, come quando si passa dal contatto fra le dita e il tubetto del dentifricio in alluminio a spremerne il contenuto morbido. Gli autori spiegano che si tratta della prima protesi affidabile che garantisce grande sensibilità al tatto grazie alla comunicazione diretta fra cervello e arto bionico.
Anche se i risultati devono essere confermati, la tecnologia è sicura e stabile a lungo termine, come precisano gli autori. Tutti i partecipanti l’hanno utilizzata in maniera continuativa, per tutte le azioni e i compiti che si svolgono durante la giornata, senza interruzioni e senza la necessità di una supervisione da parte dei ricercatori. Inoltre, tutto l’occorrente si trova nella protesi e la persona non deve portare con sé dispositivi esterni o batterie.
Attualmente è in corso uno studio clinico in Svezia per la validazione della protesi. L’aspettativa e la speranza è che possa essere disponibile, anche fuori dalla Svezia, entro due anni. Per ora la protesi messa a punto è per gli arti superiori, ma gli scienziati sono al lavoro anche per quelle per gli arti inferiori, che dovrebbe essere testate per la prima volta entro l’anno.
Riferimenti: The New England Jorunal of Medicine
Immagine di Daniel Reche via Pixabay
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