Com’è possibile che le mutazioni ereditarie e la selezione naturale, i due motori del processo evolutivo, abbiano portato a una struttura così complessa ed elaborata come l’occhio? L’ultima parola su uno dei quesiti più indagati e dibattuti dagli evoluzionisti negli ultimi anni arriva da uno studio pubblicato su Current biology che mette in luce la relazione tra alcuni componenti della vista nei vertebrati e i sistemi sensibili alla luce negli invertebrati. Un gruppo internazionale di ricercatori dell’Università di Oxford, Londra e Radboud (Paesi Bassi), ha individuato una proteina degli occhi, appartenente alla famiglia delle cristalline che presenta un collegamento filogenetico stretto con forme primitive di fotorecettori negli invertebrati. Pesci, anfibi, rettili, uccelli e mammiferi hanno la capacità di visualizzare un’immagine grazie a una struttura oculare specifica. Gli invertebrati evolutivamente più vicini ai vertebrati, come le ascidie di mare, invece, non sono capaci di vedere un’immagine, ma hanno un meccanismo primitivo di rilevamento luminoso. I ricercatori hanno scoperto nelle ascidie un gene che codifica per le proteine cristalline. Potrebbe essere questo l’elemento genetico che si è evoluto nei vertebrati per dare origine all’occhio. L’affinità tra le specie è tale che se il tratto di Dna che regola la funzioni di fotorecezione nelle ascidie viene trasferito in un embrione di rana, quest’ultimo è in grado di sviluppare l’espressione genetica per la produzione delle proteine cristalline. (m.z.)
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