Stop alle mutilazioni genitali

Tanzania, Egitto, Burkina Faso, Kenya, Etiopia, Gambia, Somalia, Mali. Sono le otto nazioni africane coinvolte nella campagna di informazione e formazione contro le mutilazioni dei genitali femminili Stop Fgm!, realizzata dall’Associazione italiana donne per lo sviluppo (Aidos) insieme a Non c’è pace senza giustizia, l’organizzazione internazionale che ha promosso la creazione di un sistema di giustizia penale internazionale indipendente. L’iniziativa coinvolge otto associazioni di donne africane in una battaglia culturale contro la tradizione della “circoncisione” femminile, una varietà di pratiche che, oltre a privare della possibilità di provare piacere sessuale, minano la salute femminile. Per questo, si è pensato a una campagna di informazione forte e specifica che promuova sul territorio africano la copertura mediatica di questi temi. “Perché i media cambiano le abitudini delle persone e gli stili di vita”, come ha sottolineato Seble Bekele, coordinatrice dei programmi dell’Associazione etiope donne nei media. I gruppi coinvolti sono quindi formati principalmente da giornaliste chiamate a sensibilizzare editori di carta stampata, radio e televisioni, a organizzare eventi dedicati a loro, a fare pressione perché delle Fgm si parli in maniera corretta: non nascondendo cioè che le mutilazioni mettono a repentaglio la salute delle donne che vi vengono sottoposte e che non c’è alcun passo del Corano che ne indichi espressamente la necessità. Concetti semplici che si scontrano però con tradizioni radicate da centinaia di anni, patrimonio delle società che col tempo le hanno codificate. Scardinare questo sistema è quindi un’impresa molto faticosa. “E’ dal 1985, quando partimmo con il primo progetto in Tanzania, che aiutiamo le donne che non vogliono sottoporre le proprie figlie alle Fgm”, ha affermato Daniela Colombo, presidente di Aidos, durante la conferenza di presentazione della campagna tenutasi a Roma il 5 novembre scorso alla presenza anche di Emma Bonino. “Ma ora è arrivato il momento di fare qualcosa di più”. E una mano è arrivata dalla Commissione Europea, che ha finanziato il progetto. Non solo campagne di informazione sul territorio, ma anche un portale Internet multilingue aggiornato direttamente dalle associazioni africane. Un data base ricchissimo di informazioni disponibili in inglese e francese (presto anche in arabo, e le organizzatrici sperano anche in swaili) dove è possibile trovare le leggi dei diversi Paesi in materia di mutilazioni, le iniziative locali, gli studi e le ricerche condotte in tutto il mondo – dal punto di vista antropologico, sanitario, dei diritti umani -, del materiale di formazione, notizie, forum e materiale video. “In questo modo possiamo metterci in contatto con le persone che si impegnano come noi”, ha affermato Pamela Mburia, giornalista e direttrice dell’Associazione donne nei media del Kenya (Amwik). “E speriamo così di coinvolgere anche gli uomini”. Già, perché è proprio sensibilizzando gli uomini (che sono la maggioranza degli editori e dei politici) che sarà possibile cambiare realmente l’atteggiamento nei confronti delle Fgm. E un uomo, Ibrahim Sidibé, dell’Associazione per il monitoraggio e l’orientamento delle pratiche tradizionali del Mali, svela come per modificare l’uso comune si debba entrare nei meccanismi sociali che lo regolano: “le mutilazioni avvengono sì per tradizione ma sottendono anche una transazione di denaro. Se convinciamo chi le pratica a non farlo dobbiamo trovare loro anche un lavoro alternativo”.Insomma, sebbene sia chiaro che nessuna ragione, sia essa legata alla tradizione o alla religione, possa giustificare la pratica delle mutilazioni, è opportuno intervenire su questo terreno tenendo conto del contesto sociale in cui tali pratiche hanno luogo, anche nel caso di comunità di immigrati in altri Paesi. “Dobbiamo unire l’Africa all’Europa e sensibilizzare tutti affinché le nostre figlie non debbano subire quello che abbiamo subito noi”, ha affermato Kady Koite, presidente della rete europea di organizzazioni contro le pratiche tradizionali nocive. Un appello che ha ascoltato anche il primo firmatario della proposta di legge sulle mutilazioni dei genitali femminili attualmente in discussione alla Commissione giustizia della Camera: Alessandro Cè della Lega Nord. La sua proposta ha sollevato più di una perplessità. Una volta approvato il testo, infatti, le Fgm verrebbero considerate reato autonomo nel Codice penale, prevedendo pene molto severe, fino alla soppressione della patria potestà per i genitori che vi abbiano sottoposto la figlia. “In questo modo la bambina, allevata in una cultura che la prepara fin dalla nascita a sottoporsi a tale pratica, oltre a subire un danno fisico si vedrebbe privata dell’affetto dei genitori”, spiega Cristiana Scoppa dell’Aidos. Inserire la mutilazione dei genitali femminili tra i reati perseguibili vuol dire infatti concepirlo come un dolo, mentre i genitori che sottopongono le proprie figlie alla pratica non hanno assolutamente intenzione di fare loro del male. Lo scopo semmai è quello di garantire la loro identità femminile e assicurare loro il matrimonio. Senza contare che già oggi chi obbliga una bambina a subire le mutilazioni dei genitali femminili può essere denunciato e perseguito per lesioni personali, applicando gli articoli 582 e 583 del Codice penale. Più che criminalizzare, sarebbe bene capire l’effettiva entità del problema: non tutte le etnie che compongono le diverse popolazioni praticano queste mutilazioni, e spesso si procede a generalizzazioni errate. Per definire le linee essenziali del progetto nazionale contro le mutilazioni genitali femminili, l’8 settembre 1999 un decreto del ministro per le Pari Opportunità Katia Belillo, aveva istituito una Commissione apposita. Che il governo attuale ha pensato bene di sopprimere. Per questo, in occasione della conferenza l’Aidos ha consegnato ai deputati della Lega Nord le proposte di emendamento al progetto di legge che richiedono la cancellazione dell’articolo sulla decadenza della patria potestà, la costituzione non solo di un generico numero verde di assistenza ma di una vera task force che solleciti un’indagine conoscitiva del fenomeno sul territorio italiano e che informi e formi le donne immigrate sulle conseguenze delle Fgm e, infine, l’aggiunta di un articolo in cui si riconosca asilo politico a quante scappano dal loro Paese per sottrarsi alla mutilazione.

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