Sulle strade di San Francesco

La speranza è ora una certezza: a Natale prossimo la Basilica di Assisi sarà di nuovo aperta al pubblico. Per allora, le ferite lasciate nelle strutture murarie dal sisma del 1997 saranno tutte sanate, e sarà completato il restauro dei 2200 metri quadrati di affreschi miracolosamente rimasti al loro posto. Per rivedere quelli rovinati al suolo – 140 metri quadri di superficie pittorica ridotta in frantumi da un volo di circa venti metri – bisognerà invece aspettare ancora un poco. Ma il lavoro è ben avviato: le figure di otto santi dell’arcone dell’ingresso sono già state ricomposte in laboratorio. Un risultato da record, vista la gravità della situazione lasciata dal sisma, il più terribile dei tanti che in otto secoli di vita il complesso gotico ha dovuto sopportare.

A permettere questi risultati, oltre alla tempestività degli interventi, è stata soprattutto l’inventiva dei restauratori che, con tecniche sperimentali, sono riusciti a salvare anche ciò che inizialmente si riteneva perduto. “Le volte erano veramente ridotte male: completamente deformate e lesionate, in pericolo di crollo”, ricorda Giorgio Croci, docente di Ingegneria strutturale geotecnica all’Università di Roma La Sapienza, che insieme a Paolo Rocchi dirige il restauro della basilica. Fu quindi necessario collegarle al tetto con dei tiranti e applicare delle strisce di fibre sintetiche – una sorta di cerotti – sulle lesioni maggiori, per evitare che si allargassero e per restituire una certa continuità alle superfici. Nei mesi successivi, superata l’emergenza, si è pensato a consolidare le murature lesionate, integrando le parti crollate e applicando, in corrispondenza delle imposte delle volte, dei dispositivi per la dispersione di energia.

Ma un po’ alla volta il cantiere di Assisi ha assunto sempre più l’aspetto di un laboratorio sperimentale, aperto anche ai contributi di scienziati e tecnici stranieri e alla verifica di nuovi materiali e tecniche d’avanguardia. “Vista la gravità della situazione, dovevamo trovare una soluzione diversa dal solito”, spiega Croci. “Per le volte abbiamo pensato di creare un sistema di nervature sull’estradosso, la superficie superiore degli archi, cioè di costruire delle piccole costole, simili a quelle che si vedono sulla superficie inferiore”.

Le nervature vengono disposte secondo linee incrociate, proprio come quelle tipiche dello stile gotico, in modo da restituire alle volte resistenza e solidità e metterle in grado di sopravvivere anche a future sollecitazioni telluriche. Hanno una sezione di 20 per 10 centimetri con un’anima di legno rivestita da un materiale sintetico, il kevlar. Normalmente utilizzata nei piccoli aerei, nelle barche o per realizzare giubbotti antiproiettile, è la prima volta che questa fibra viene impiegata nel restauro. Una serie di prove di simulazione in laboratorio ne ha verificato l’affidabilità. “E’ molto più resistente, flessibile e adattabile del ferro e ci ha permesso di realizzare le nervature direttamente sull’estradosso”, precisa Croci, “aggiungendo strati successivi e seguendo l’andamento delle volte deformate”. Anche al timpano più danneggiato – consolidato e ricostruito, come il suo gemello e la torre campanaria, con le pietre cadute o prese dalla cava originaria – verrà applicata una struttura di rinforzo in materiale sintetico e dotata di dissipatori di energia.

Contemporaneamente al restauro strutturale, che si concluderà in estate, è andato avanti il restauro degli affreschi e il recupero di oltre centomila frammenti. Un’opera grandissima che è iniziata con la cernita delle macerie dell’area più vicina alla facciata, quella degli otto santi e San Girolamo. “All’interno, invece”, dice Pippo Basile dell’Istituto Centrale per il Restauro, “abbiamo proceduto in modo quasi archeologico: abbiamo mappato tutta l’area delle macerie procedendo a una raccolta sistematica dei reperti, collocandoli in cassette e allegando a ognuno le indicazioni topografiche del loro rinvenimento, così da potere ricostituire in laboratorio la stessa disposizione al suolo dei frammenti. Abbiamo lavorato insieme ai volontari e ai vigili del fuoco per ben otto giorni, quando la situazione statica della basilica era ancora incerta”.

Questo lavoro ha permesso ai restauratori di riprodurre in laboratorio la disposizione al suolo dei frammenti, per agevolare la loro ricomposizione. Ogni pezzo, comunque, deve essere catalogato in base a numerosi parametri, oltre a quello che si riferisce al punto di raccolta: la tipologia, il colore, lo spessore, per citarne solo alcuni. Tutti i dati vengono poi inseriti in una banca dati informatizzata. “Per il momento”, continua Basile, “abbiamo ricostruito in laboratorio le figure degli otto santi, che ritengo potranno tornare al loro posto”.

Negli altri casi, il lavoro di individuazione dei frammenti non è stato ancora compiuto, e Basile non azzarda pronostici sulla loro ricomposizione e ricollocazione. “Solo quando avremo completato la schedatura elettronica potremo sapere di cosa disponiamo. Entro l’anno, comunque, avremo finito il restauro dei 2200 metri quadrati di affreschi che, per fortuna, anche se gravemente danneggiati, sono rimasti al loro posto”, assicura il restauratore. Nella notte di Natale, però, chi solleverà in alto lo sguardo non avrà la desolante visione delle lacune ma potrà nuovamente ammirare gli affreschi. Un miracolo? No, solo un trucco: alcuni proiettori nascosti nel camminamento, a sette metri di altezza, riprodurranno sull’intonaco grigio le forme e i colori che un tempo decoravano le volte.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here