Talassemia: non abbassiamo la guardia

La talassemia si cura, è vero, ma non possiamo considerarla debellata, anzi. Se da una parte i pazienti vivono in media meglio e più a lungo, dall’altra si registra un fenomeno da non sottovalutare: la talassemia di ritorno. A modificare la mappa epidemiologica di questa malattia genetica ereditaria rara – dovuta a un difetto genetico che compromette il trasporto di ossigeno nel sangue e porta l’emoglobina a valori incompatibili con la vita – sono i flussi migratori provenienti da alcune regioni del Medio Oriente, del Sud Est asiatico, dell’India e del bacino mediterraneo. Rispetto ai primi anni del 2000, in Italia si registra un incremento del 40% delle richieste di cura nella popolazione pediatrica. Oggi i migranti rappresentano il 4,6% dei pazienti talassemici. Sono i dati presentati dalla Fondazione Italiana “Leonardo Giambrone” per la Guarigione dalla Thalassemia in occasione della Giornata mondiale dedicata a questa patologia, che si svolgerà l’8 maggio prossimo.

“In Italia sono oltre 5.000 i malati con talassemia major (la forma grave di anemia, detta anche mediterranea, nella quale la sopravvivenza è possibile solo con trasfusioni di sangue, ripetute ogni 2-3 settimane, che iniziano in genere nel primo anno e proseguono per tutta la vita); altri 1.000 sono quelli con talassemia intermedia (forma più lieve non trasfusione dipendente)”, spiega Renzo Galanello, direttore della II Clinica Pediatrica e del Dipartimento di Scienze Biomediche e Biotecnologie, Università degli Studi di Cagliari. “A questi vanno aggiunti i circa 1.000 casi con sindrome falcemica (emoglobinopatia mista caratterizzata da anemia falciforme e talassemia). Due milioni invece sono i portatori sani”.

L’evoluzione delle terapie, in particolare i farmaci chelanti del ferro di ultima generazione assunti per bocca, la possibilità di personalizzare le cure, la disponibilità di indagini diagnostiche, quali la risonanza magnetica per immagini, stanno cambiando la malattia. L’età media dei pazienti è adesso arrivata a 39 anni, con un incremento di ben dieci anni nell’arco di una sola decade, mentre in passato difficilmente un paziente superava l’infanzia. Oggi invece un terzo dei pazienti ha più di 35 anni e i più anziani hanno tagliato il traguardo dei 60 anni. E si assiste alla ripresa delle nascite, per scelta dei genitori, segno di fiducia nel futuro e nella possibilità di una vita normale. “Dai primi dati ancora incompleti del Registro interregionale che, partito due anni fa, si chiuderà il prossimo giugno – sottolinea Adriana Ceci, Consigliere scientifico della Fondazione Giambrone e componente del Pediatric Committee dell’EMA – è evidente lo spostarsi in avanti dell’età media dei talassemici, la presenza di una quota importante, 10%, di bambini talassemici sotto i 10 anni, la ripresa delle nascite e, infine, l’incremento del flusso migratorio che porta in Italia popolazioni particolarmente colpite dalla patologia che, come è presumibile, contribuiranno alla sua diffusione e per le quali i Servizi Sanitari Regionali devono cominciare a preparasi con piani di prevenzione”.

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