Per la prima volta una coppia fertile ha ottenuto una diagnosi pre-impianto per la betalassemia, un tipo di anemia mediterranea, in un centro pubblico italiano. I genitori cioè, sebbene in grado di procreare, hanno eseguito la fecondazione artificiale in vitro così da poter eseguire un’analisi genetica sugli embrioni. Con una tecnica già utilizzata nei centri diagnostici privati. Degli embrioni due sono risultati sani, uno portatore sano e quattro malati. I tre embrioni non malati sono stati poi trasferiti nell’utero della madre. A tre mesi di distanza la madre annuncia ora di aspettare un figlio, sano. A eseguire il trattamento è stata l’Unità di Fisiopatologia della riproduzione umana dell’IRCCS S. De Bellis di Castellana Grotte, in provincia di Bari. Un passo in avanti per il servizio sanitario: fino a oggi infatti le coppie italiane sono sempre dovute ricorrere a poche strutture private, ma solo per i test sui cromosomi, non per la diagnosi genica. Unica alternativa era quella di andare Oltralpe, a Bruxelles o in Francia, dove i centri che eseguono questo tipo di analisi sono tre, tutti pubblici. “La diagnosi di pre-impianto è un metodo ormai standardizzato”, dice Giuseppe D’Amato, direttore del centro pugliese, che invita il Ministero della Salute a pianificare strategicamente la distribuzione dei centri. Ma il vero ostacolo per l’accesso alla diagnosi potrebbe essere di natura politica. Proprio oggi il Senato inizia le votazioni sul testo di legge in materia di procreazione assistita. Secondo cui solo le coppie infertili potranno ricorrere alla fecondazione in vitro. Inoltre, il limite a tre degli embrioni da produrre e l’obbligo di trasferirli tutti insieme, di fatto, non permetterebbe di effettuare la diagnosi di pre-impianto. Per prevenire la trasmissibilità di malattie genetiche gravi, l’unica possibile alternativa potrebbe quindi essere rinunciare ad avere figli o ricorrere all’aborto. (mo.s.)
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