Categorie: Salute

Ti uso, ti riconosco

Generalmente, quando vediamo una cosa siamo subito in grado di riconoscerla, sappiamo a cosa serve e come usarla. Ricercatori dell’Università di Trento e della Sissa di Trieste, in collaborazione con scienziati americani, hanno dimostrato che, nel processo di immagazzinamento delle informazioni di oggetti che vediamo, le aree celebrali legate al riconoscimento del loro uso e quelle che elaborano le immagini si influenzano vicendevolmente. Lo studio, pubblicato sulla rivista Neuron, sfida la concezione dominante secondo la quale, invece, il cervello rappresenta i vari aspetti della conoscenza degli oggetti immagazzinandoli in diverse aree specializzate e separate.

Nell’area del cervello deputata al riconoscimento visivo ci sono due regioni, una per l’elaborazione dei dati riguardanti gli esseri viventi e l’altra per il riconoscimento di oggetti inanimati. Usando la risonanza magnetica funzionale, i ricercatori hanno studiato la seconda area e hanno individuato le risposte neurali al riconoscimento e alla manipolazione di oggetti da parte di soggetti sani e di 42 pazienti con lesioni cerebrali. I neuroscienziati hanno concluso che “se un oggetto finisce in una zona del cervello piuttosto che in un’altra non dipende dalla sola percezione visiva dell’oggetto, quanto dalla sua funzione, dall’uso comune e dall’azione che compiamo su di esso”, come ha dichiarato Alfonso Caramazza del Centro Interdipartimentale Mente/Cervello di Trento.

“Una sfida importante per la ricerca futura è quella di studiare le connessioni funzionali tra l’area visiva e le altre parti del cervello per capire se si tratta di un principio organizzativo generale”, ha affermato Bradford Mahon, primo autore della ricerca. Questo aiuterebbe a capire se, per esempio, le aree del cervello deputate al riconoscimento delle facce siano influenzate da regioni che mediano le reazioni emotive, o se la specificità per il linguaggio scritto sia influenzata dalle aree preposte all’elaborazione linguistica. (s.m.)

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