Categorie: Spazio

Tutti i segreti di Mercurio

Mercurio proprio non ci sta a somigliare agli altri pianeti rocciosi e a soddisfare le nostre teorie su di lui. Dopo soli sei mesi dalla sua entrata in orbita, la sonda spaziale Messenger della Nasa ha regalato agli scienziati un quadro molto diverso dalle aspettative. La composizione della sua superficie, infatti, differisce significativamente da quella degli altri pianeti del sistema solare interno e contraddice molte delle attuali teorie sulla formazione del pianeta. Il suo campo magnetico presenta delle caratteristiche uniche e la regione del polo nord è dominata da distese di pianure vulcaniche che coprono più del 6% di tutta la superficie. A questi e ad altri colpi di scena Science ha dedicato uno speciale composto di ben 7 articoli: un assaggio virtuale del piccolo pianeta ribelle.

La composizione della superficie, rilevata grazie a spettrometri a raggi X e gamma, suggerisce che Mercurio possa essersi formato da blocchi di materia simili ma meno ossidati rispetto a quelli che hanno dato origine ai suoi cugini terrestri. Lo studio, condotto dalla Carnegie Institution of Science di Washington, mostra anche una maggiore presenza di zolfo e potassio rispetto a quanto predetto a livello teorico. Entrambi gli elementi, inoltre, evaporano a temperature relativamente basse, per cui la loro abbondanza esclude l’ipotesi (finora piuttosto diffusa) che Mercurio potesse aver conosciuto periodi di temperature estremamente alte durante le prime fasi della sua storia. “Sulla formazione di questo pianeta, i teorici devono tornare alla lavagna”, ha commentato Larry Nittler, autore principale dello studio. “La maggior parte delle idee che circolavano fino a ieri su Mercurio non trovano riscontro con ciò che abbiamo effettivamente misurato sulla sua superficie”.

Per quanto riguarda i depositi vulcanici, Messenger ne ha individuato enormi distese concentrate soprattutto nel polo nord del pianeta. Secondo James Head della Brown University di Providence (Rhode Island), i depositi sono tipici di inondazioni di lava, come quelli che sulla Terra caratterizzano il gruppo di Basalto del Columbia River, tra gli Stati di Washington, Oregon, Idaho, Nevada e California. “La lava sembra essere fuoriuscita da bocche lunghe e lineari – ha spiegato il ricercatore – e aver seppellito le aree circostanti, comprese molte delle sue stesse fonti”.

Uno studio condotto dal Laboratorio di Fisica Applicata della Johns Hopkins University si è invece concentrato su una dimensione inaspettata della morfologia del terreno di Mercurio. La missione orbitale, infatti, ha permesso ai ricercatori di osservare più da vicino dei crateri particolarmente brillanti e di colore bluastro già individuati in precedenza. A quanto pare queste aree brillanti (assenti nella superficie della Luna, a lungo ritenuta molto simile a Mercurio) sono composte da piccole depressioni irregolari che spesso tendono a raggrupparsi.

Il team di ricerca, guidato da David T. Blewett, ha rinominato queste depressioni cavità (in inglese “hollows”) per distinguerle dagli crateri di Mercurio. Le cavità si trovano a diverse latitudini e longitudini e hanno spesso interni dai colori vivaci e dotati di aloni. In sostanza – spiegano i ricercatori – sembrano “fresche” e per lo più prive dei piccoli crateri da impatto che di solito denotano una certa età. “Le immagini ci suggeriscono che le cavità si stiano formando attivamente ancora oggi”, ha detto Blewett: “Una cosa è certa: Messenger sta smontando il vecchio assunto per cui ‘Mercurio è semplicemente simile alla Luna’. Al contrario, dalla sua posizione privilegiata ci sta dimostrando che questo pianeta è diverso dal nostro satellite pressoché in tutto ciò che possiamo misurare”.

Un altro aspetto importante riguarda il campo magnetico. Mercurio, così come la Terra, Giove, Saturno, Uranio e Nettuno, ha un campo magnetico intrinseco, ma Messenger ha trovato che il campo sostanzialmente debole di Mercurio è diverso da quello degli altri pianeti. Lo studio, condotto presso la Johns Hopkins University (in Maryland) ha indicato inoltre che diversi sono anche i processi di accelerazione delle particelle che si verificano nella magnetosfera del pianeta. “L’analisi sugli elettroni energetici suggerisce un’altra distribuzione rispetto a quella nota come fascia di van Allen”, ha spiegato George Ho, autore principale dell’articolo.

Dopo tutte queste sorprese, sono più che comprensibili le parole di soddisfazione espresse da Sean Solomon, direttore del Dipartimento di Magnetismo Terrestre della Carnegie Institution di Washington e Principal Investigator di Messenger. “Nella storia dell’esplorazione del nostro sistema planetario, la prima astronave a orbitare attorno a un pianeta ha sempre riservato risultati sorprendenti, e Messenger è stata fedele a questo percorso. Tutto ciò che abbiamo potuto osservare e misurare ci ha dato risultati inaspettati”, ha aggiunto Solomon: “Mercurio non è il corpo celeste che è descritto nei libri di testo. Anche se è un parente stretto di Venere, Marte e della Terra, il pianeta più interno del sistema solare ha avuto una vita molto più eccitante di quella che noi scienziati gli avevano affibbiato”.

Riferimenti: Science

Via: wired.it

Credits immagine: Science/AAAS

Giulia Belardelli

Laureata in Teoria della Comunicazione, vive tra Roma e gli Stati Uniti, da dove collabora assiduamente con La Repubblica, Galileo, Wired.it, Media Duemila e altre testate. E' praticante presso il quotidiano italiano negli USA America Oggi-Radio ICN e si occupa soprattutto di cronaca statunitense. Ha lavorato, come stagista e collaboratrice, in varie redazioni, dall’Ansa ad Avvenimenti, da Rainews24 a Skytg24. Ha avuto esperienza di ufficio stampa e pubbliche relazioni e vinto una borsa di studio annuale alla University of Edinburgh, Scozia. Lì ha imparato a coniugare le sue due grandi passioni: il giornalismo e la natura. E’ pubblicista dal 2006; ama scrivere soprattutto di scienze, tecnologia e viaggi.

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