Un Diluvio davvero Universale

Alle porte del Duemila si riaffacciano le previsioni catastrofiche per la fine del mondo. Nostradamus, sette esoteriche, ma anche racconti biblici come il Diluvio Universale tornano prepotentemente alla ribalta. Tanto che il Museo tridentino di scienze naturali ha pensato di celebrare il nuovo secolo organizzando una grande esposizione dedicata proprio al racconto dell’Antico Testamento. Dal prossimo 3 dicembre fino al 21 maggio del 2000, saranno in mostra a Trento testimonianze archeologiche, reperti di ogni tipo e modelli planetari, in un allestimento che gli organizzatori definiscono ‘’altamente spettacolare’’. Per la realizzazione del “Il Diluvio Universale” (http://www.mtsn.tn.it) sono state coinvolte numerose competenze, non solo di ordine scientifico e tecnologico, ma anche artistiche, religiose e archeologiche. “Il passaggio al nuovo millennio deve farci riflettere”, racconta Michele Lanzinger, curatore della mostra. “Bisogna capire cosa vogliamo salvare e far rinascere nel prossimo mondo. E il percorso della mostra ha inizio proprio con l’Arca, che trasporta un centinaio di animali imbalsamati. Un simbolo di ecologia, di biodiversità, ma anche di rapporti fondamentali tra il Nord e il Sud del mondo”.

Il racconto del diluvio universale (Genesi, Vi, 5 – VI-II, 22) narra di una punizione inviata da Dio ai suoi figli per la loro malvagità. L’unico degno di salvarsi è il pio Noè, che per ordine del Signore costruisce un’arca dove imbarca la famiglia e due coppie di ogni specie di animale. Dopo una pioggia durata quaranta giorni, il mondo rimane sommerso dalle acque per dieci mesi, per poi riapparire. L’Arca si arena sul monte Ararat e Noè e tutti gli animali tornano a vivere sulla terra ferma. Ma il racconto del Diluvio Universale e del successivo ripopolamento della terra da parte dei sopravvissuti prescelti era noto anche a molti popoli dell’antichità. Già prima di essere scritto nell’Antico Testamento, il catastrofico evento è narrato in caratteri cuneiformi sulle tavolette sumeriche che appartenevano ai Caldei, ritrovate a Ur. Non solo. Il mito si ritrova in Persia, in India, in Cina e in altre parti dell’Asia. E anche nelle popolazioni indie dell’America centromeridionale precolombiana, nel Pacifico meridionale e nell’Europa settentrionale. Alla base di tutti i racconti c’è una popolazione malvagia che un Dio o gli dei hanno deciso di punire, distruggendola; tutta, ad eccezione di un uomo, o una coppia, o più coppie che preavvisati della catastrofe sopravvivono agli altri, dando vita ad un nuovo mondo. A seconda del luogo cambiano gli animali da salvare, mentre rimane quasi lo stesso il numero dei giorni di pioggia: si va dai quaranta giorni biblici ai sessanta di alcune popolazione indie.

Ma come mai dall’America settentrionale alla Scandinavia non c’è popolo che non abbia la sua Arca? “In antropologia il mito acquatico è un archetipo universale. L’acqua significa purificazione. Per rinascere migliori bisogna morire e purificarsi proprio con l’acqua. Solo così si può chiudere un ciclo per aprirne un altro”, spiega l’archeologa Carolina Orsini, curatrice di una delle sezioni della mostra di Trento.

Dalla sezione dedicata al racconto biblico, il percorso espositivo passa ad un’ampia sezione dedicata all’arte e all’iconografia ispirata al Diluvio, con opere che vanno dal Cinquecento ai giorni nostri. Con il supporto iconografico di mappe, fotografie e filmati la mostra illustra inoltre le recenti interpretazioni scientifiche del Diluvio, che si basano sui cambiamenti climatici e i relativi innalzamenti del mare. In particolare è esposta la teoria di due geofisici americani del Lamont-Doherty Earth Observatory, Bill Ryan e Walter Pitman. Secondo i loro studi, la fusione dei ghiacciai delle grandi calotte continentali provocò, tra i 10.000 e i 7.000 anni fa, un rapido aumento del livello dei mari. Una delle conseguenze di questo fenomeno planetario è stata lo straripamento delle acque salate del Mediterraneo in quelle dolci del Mar Nero. Proprio 7600 anni fa, infatti, quello che oggi chiamiamo mare era in realtà un piccolo lago. A cancellarlo fu l’acqua del Mediterraneo che all’improvviso raggiunse la diga naturale che sbarrava i Dardanelli distruggendola, riversandosi così nella pianura e precipitando per mesi e mesi da una cascata alta 150 metri. Il ritrovamento sui fondali del Mar Nero di conchiglie di fossili databili intorno al 7500 anni non fa che confermare questa ipotesi.

Alla ricerca di ulteriori prove, un gruppo dell’Enea (http://www.enea.it) guidato da Fabrizio Antonioli sta conducendo ricerche in alcune grotte sommerse del Mar Mediterraneo. Il ritrovamento di stalattiti formatesi in tempi remoti, quando le grotte non erano sommerse dalle acque, confermerebbe che circa 7500 anni fa il livello del Mediterraneo era più basso di 15 metri, proprio all’altezza della diga del Bosforo. Ma il Diluvio del Mar Nero non può essere quello Universale. Probabilmente quello di cui parlano Ryan e Pitman ispirò la narrazione biblica, ma non può aver di certo influenzato le popolazioni lontane dal continente euroasiatico. Se veramente ci fu un Diluvio Universale, l’unica spiegazione possibile è quella dell’innalzamento globale degli oceani, un’inondazione planetaria che sconvolse molte zone della Terra, creando alcune isole e sommergendone altre.

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