Nell’autunno del 1959, come ogni autunno, la Scuola Normale Superiore di Pisa accoglieva fra le sue mura austere le matricole vincitrici del concorso di ammissione, gli allievi più anziani, gli assistenti e i professori; iniziava un nuovo Anno Accademico, in un intreccio di giovanili aspettative, intense fatiche, lunghissime discussioni, illuminanti lezioni e legittimi svaghi. Fu in quell’atmosfera e in quelle circostanze che ci incontrammo per la prima volta fra noi e con Ennio De Giorgi. Proprio in quell’autunno, Ennio iniziava il suo servizio di eminente professore di Analisi matematica alla Scuola Normale Superiore; uno di noi (M.M.) iniziava, dopo essersi laureato nella Scuola stessa, la sua carriera accademica, l’altro (R.L.) intraprendeva, dopo aver vinto il concorso di ammissione, il suo iter di studente universitario di Fisica. Rappresentavamo, per così dire, tre generazioni accademiche: il Professore, depositario della verità scientifica, l’assistente neofita, la matricola: tre mondi che generalmente comunicano solo in una direzione, data la distinzione dei ruoli e dell’esperienza. Ma Ennio aveva ben altra concezione dell’insegnamento e del principio d’autorità. Il privilegio di poter organizzare la nostra vita quotidiana dentro la scuola, in continuo reciproco contatto, ci fece ben presto scoprire le doti più preziose dello scienziato De Giorgi, doti che hanno fatto di lui un maestro un maestro, nel senso più profondo del termine. La sua curiosità, la sua gioia di vivere, la sua naturale disponibilità a condividere il suo pensiero con i suoi allievi, ad affrontare con la sua eccezionale creatività problemi nuovi a voce alta, a ispirare i suoi collaboratori senza spogliarli del gusto per la scoperta, a favorire i contatti fra quanti avevano in lui un punto di riferimento per la propria attività di ricerca, seppero non solo porre le basi di una solidissima scuola di matematica, ma anche creare irripetibili condizioni per lo sviluppo e il consolidamento di profonde amicizie, per l’abitudine al rispetto delle idee altrui, per il rigore intellettuale. Ennio fu matematico per vocazione (“per volontà di Dio”, come ebbe a dire un suo professore) e la sua vita fu invasa da questa vocazione, lasciandogli poco spazio per la creazione di una sua propria famiglia. Questo, lungi dall’isolarlo, lo rese più partecipe alle vicende di tutti noi, seguendoci nello sviluppo delle nostre carriere scientifiche, incoraggiandoci a percorrere esperienze nuove, in breve, accompagnandoci in quel complesso processo che ha fatto di ciascuno di noi un uomo maturo. Ennio ha regolarmente frequentato le nostre famiglie, imparando a conoscere le nostre compagne e i nostri figli, non stancandosi mai però di additarci, con grande discrezione, mete importanti. Il suo interesse e il suo coinvolgimento per i paesi in via di sviluppo (per anni collaborò alla creazione di un’università in Eritrea), le sue pubbliche denuncie delle ingiustizie (fu membro attivo di Amnesty International), la sua continua ricerca della trascendenza (fu profondo credente) sono stati per noi uno stimolo continuo. La sua genialità fu sempre motivo di stupore per noi, ed una costante riscoperta, che ha costellato anche gli anni in cui ci allontanammo (non senza il suo consenso) da Pisa, per sviluppare, ciascuno nei propri campi, le nostre iniziative scientifiche a Trento. Da allora Ennio, che ha profondamente amato la montagna, fece di Trento non solo un punto obbligato per i suoi itinerari turistici (decine di escursioni nelle Dolomiti insieme agli allievi e ai collaboratori), ma anche una tappa importante dei suoi itinerari scientifici. Ne ebbe in cambio una enorme ammirazione ed un profondo affetto da tutti noi.