Un Tribunale a ostacoli

Nel palazzo della Fao a Roma fervono i lavori. Qui i delegati di oltre 150 paesi aderenti alle Nazioni Unite sono riuniti da una settimana per definire la fisionomia del futuro “tribunale mondiale” chiamato a giudicare i reati di genocidio, i crimini di guerra e quelli contro l’umanità. La conferenza diplomatica si è aperta lunedì scorso e durerà fino al 17 luglio: ancora quattro settimane per raggiungere un accordo sui numerosi punti critici e arrivare alla stesura di una convenzione che dovrebbe essere approvata dai singoli Stati.

Nella “Plenary Hall” del grande edificio dell’Aventino sembra che nessuno parli. Eppure, dall’alto della galleria riservata ai giornalisti, si vede che tutti i posti sono occupati: i delegati sono seduti e attenti, muniti di auricolari e microfono, affiancati per ordine alfabetico. “Tutto il mondo ha gli occhi puntati su di noi”, ha detto Kofi Annan, segretario generale delle Nazioni Unite, aprendo la seduta inaugurale, “e si aspetta risultati concreti. Finalmente abbiamo la possibilità di fare un gigantesco passo avanti nel nome della difesa dei diritti umani e dello stato di diritto. Abbiamo la possibilità di creare un’istituzione capace di salvare molte vite umane e di diventare un deterrente contro future atrocità”.

Un tribunale credibile, autorevole e indipendente da organismi statali o sovranazionali: così dovrà essere, ha sottolineato Kofi Annan, la futura Corte penale internazionale, che, a cinquant’anni da Norimberga e dopo altri tentativi di tribunali internazionali istituiti ad hoc – come quello per i crimini nella ex-Jugoslavia e in Rwanda – si configura come la prima Corte penale internazionale permanente. Ma i punti di disaccordo tra i delegati delle nazioni riuniti a Roma sono ancora tanti, e il documento di lavoro attualmente sul tavolo della conferenza è infarcito di parentesi quadre, che indicano le questioni ancora da risolvere.

Innanzitutto c’è il problema della definizione dei crimini sui quali il Tribunale avrà giurisdizione. Genocidio, crimini di guerra e contro l’umanità, aggressione: su questi reati, (“core crimes”) già contemplati nel diritto internazionale, c’è un accordo quasi generale, ad eccezione dell’ultimo. Infatti, a tutt’oggi, sta del Consiglio di sicurezza dell’Onu determinare quando un atto costituisce aggressione e intervenire in caso di minaccia alla pace. Ma domani, quale autonomia potrà avere il tribunale in questo ambito? Gli Stati Uniti, la Francia, la Cina e in parte il Regno Unito, membri permanenti del Consiglio delle Nazioni Unite, hanno ovviamente la posizione più rigida. Riguardo invece ad altri tipi di crimini, come il terrorismo, il traffico di narcotici, i reati contro il personale dell’Onu (critic crimes) il dibattito è ancora completamente aperto.

Un altro tema caldo è quello della “complementarietà” tra la giurisdizione nazionale e quella del tribunale internazionale. Il principio guida è che il tribunale internazionale intervenga solo come “complemento”, quando cioè lo Stato non è in grado di assicurare un procedimento penale adeguato e imparziale, e che non debba sostituirsi alla giurisdizione nazionale. Ma anche qui le questioni da definire sono tante, e l’accordo non è semplice: il tribunale deve avere il controllo sull’operato dei giudici nazionali? Può essere obbligato a trasferire un’indagine al tribunale del singolo Stato che si sia dichiarato disposto ad esercitare la sua giurisdizione?

“Una strada difficile, ma finalmente aperta”, ha detto Emma Bonino, che è stata tra le prime a proporre l’attuazione di questa conferenza entro il 1998. A guardare il grande fermento dentro alle stanze della Fao – dove insieme all’ assemblea plenaria stanno lavorando un Comitato generale su questioni più tecniche e un Committee of the Whole, che segue in modo meno formale le stesse procedure della plenaria – si percepisce che sta succedendo qualcosa di importante. Nel frattempo, nel tendone di Amnesty International montato davanti al Circo Massimo, si susseguono conferenze, dibattiti, seminari organizzati dalle tante organizzazioni non governative che da anni si battono per la difesa dei diritti umani.

“Da queste cinque settimane potrà uscire una proposta debole, annacquata, con un consenso largo. Oppure una bozza di Trattato molto convincente, ma dalla base estremamente esigua”, ha commentato la commissaria europea Bonino nel corso del seminario su “Donne e ICC (International Criminal Court)” organizzato il 16 giugno dal Women’s Caucus for Gender Justice. “L’importante”, ha aggiunto, ‘’è che si vada avanti, e che il 19 luglio nasca un documento ufficiale. Si può anche sorvolare su questioni che riteniamo importanti, perché potranno essere discusse in un secondo momento. Certo, c’è un limite: che io mi possa continuare a guardare allo specchio la mattina, senza pensare di avere perso la dignità”.

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