Una memoria ottica per un Internet superveloce

Per aumentare la rapidità delle trasmissioni, da ormai qualche decennio si è passati dai cavi con anima in rame alla fibra ottica, in cui il segnale viaggia ad altissima velocità. C’è un però: quando l’informazione arriva alla componente elettronica che la processa, per esempio un router, i dati in entrata vengono rallentati, e molta energia dispersa inutilmente. Tutto questo potrebbe essere risolto grazie a una Ram ottica sviluppata dai ricercatori dell’ Ntt, compagnia di telecomunicazioni con base a Kanagawa in Giappone. La nuova memoria, descritta su Nature Photonics, è infatti capace di immagazzinare il segnale abbastanza a lungo perché questo possa essere processato. 

Ecco esattamente qual è il problema attuale che gli ingegneri stanno tentando di risolvere: quando i dati in viaggio sulla fibra arrivano alla componente elettronica non riescono a essere lavorati direttamente, soprattutto se sono tanti; è come se si creasse un collo di bottiglia di informazioni. Il segnale, quindi, viene rimbalzato avanti e indietro tra la linea di trasmissione e lo strumento che lo deve processare. In questo meccanismo viene sprecata molta energia, e il segnale viene rallentato. 

Un apparecchio completamente ottico, capace di immagazzinare i dati, sarebbe l’ideale, ma fino ad oggi la sua realizzazione è stata impossibile; non esistevano infatti delle memorie ottiche capaci di stoccare i dati per un intervallo di tempo sufficiente affinché questi potessero essere lavorati, come in una normale Ram. 

L’apparecchio descritto in Nature Photonics risolverebbe questa difficoltà. La nuova memoria è basata su una serie di cavità ottiche di un materiale semiconduttore (fosfuro di indio) inserite all’interno di un altro composto simile (fosfuro-arseniuro di indio-gallio). Secondo necessità le piccole buche diventano trasmittenti o isolanti: di volta in volta, in base alla lunghezza d’onda di un laser che le colpisce, l’indice di rifrazione del materiale di cui sono fatte cambia in modo da lasciar passare o bloccare la luce stessa. Così ognuna delle buche può rappresentare uno 0 o un 1, proprio come i bit di informazione nelle normali Ram. Una successiva pulsazione può cancellare quel dato, sostituendolo con un altro opposto. Il dispositivo comprende anche un secondo laser tarato in modo da mantenere una luce di sottofondo, metodo che serve a conservare più a lungo l’informazione all’interno delle cavità. 

In questo modo gli scienziati sono riusciti a produrre Ram ottiche che usano solo 30 nanowatt di potenza: 5 volte meno di una memoria flash e 300 volte meno dei precedenti prototipi ottici. I dati, per ora, possono essere immagazzinati per un tempo massimo di un microsecondo, che è comunque un tempo quattro volte più lungo del precedente record di stoccaggio, che arrivava appena a 250 nanosecondi. Seppure ancora lontano dai tempi massimi di conservazione dei dati raggiunti dalle memorie flash, secondo i ricercatori questi intervalli sono comunque sufficienti per garantire la lavorazione dell’informazione. 

I tempi, però, restano il tallone di Achille di questa tecnologia. “ Non sono sicuro che questo tipo di tecnologia potrà costituire la Ram dei processori del futuro”, ha commentato Victor Zhirnov, direttore di alcuni progetti della Semiconductor Research Corporation, uno dei principali consorzi non profit di ricerca del mondo. “ Le memorie elettroniche sono molto più compatte di quanto quelle ottiche potranno mai essere, e le tecnologie che usiamo oggi, come le flash memory, riescono a conservare intatti i dati per decenni”. 

Dubbi a parte, come riporta PhysOrg.com nel mondo accademico già si è cominciato a sognare il momento in cui si potranno finalmente realizzare memorie hardware completamente ottiche o una dorsale informatica (ovvero un collegamento ad alta velocità tra server o router) costituita solo da elementi che lavorano con la luce. Ma i ricercatori spiegano che i primi passi sono altri. “ Il primo obiettivo è di creare memorie che possano sostenere il traffico di un network di programmi o di computer”, ha spiegato Masaya Notomi, direttore del Photonic Nanostructure Research Group del Ntt. 

via wired.it

Credit immagine a purplemattfish/ Flickr 

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here