Dai mari ai monti, dagli acquitrini ai deserti, dai poli ai tropici: sono innumerevoli gli ecosistemi in cui si è sviluppata la vita sulla Terra, adattandosi secondo le risorse locali. Dietro questa straordinaria varietà biologica si celerebbe però un disegno comune: il flusso di sostanze nutritive che dall’ambiente passa alle prede e da queste ai predatori sembra avere ovunque la medesima struttura. Che poi è in tutto, o quasi, simile a quella che caratterizza le “reti di trasporto” quali, per esempio, i sistemi idrici naturali, che portano l’acqua dalle alture fino al mare, o i sistemi vascolari, come quello sanguigno. A rivelare la struttura universale delle reti trofiche nei diversi ecosistemi del pianeta è stato un gruppo di fisici italiani dell’Università di Roma “La Sapienza” e dell’Università di Siena. Il loro lavoro, pubblicato su “Nature”, utilizza il linguaggio matematico delle reti per analizzare le complesse relazioni esistenti tra ambiente, prede e predatori all’interno di un ecosistema naturale. Le reti alimentari regolano la distribuzione di cibo dall’ambiente alle prede e dalle prede ai predatori. E lo fanno nel migliore dei modi possibili, secondo il criterio di ottimizzazione. Così come i fiumi e i sistemi sanguigni, per esempio, che ‘pagano’ il meno possibile il mantenimento dell’intera rete e delle risorse necessarie alla sua esistenza. Il caso delle reti vascolari è molto chiaro: all’aumentare della taglia dell’animale, il volume di sangue in circolazione aumenta secondo una legge ben precisa. La matematica era già riuscita a tradurre questo comportamento in un teorema, verificato sperimentalmente nel caso delle reti vascolari e dei bacini fluviali, per i quali il rapporto tra costi e risorse assume una forma universale, che corrisponde, appunto, alla massima efficienza possibile. L’esatta forma di questa relazione, in termini di un esponente universale, dipende dai vincoli imposti dallo spazio nel quale la rete opera: nel caso dei fiumi uno spazio bidimensionale, nel caso del sangue il corpo animale, a tre dimensioni. “Il fatto che le reti vascolari e i fiumi sono caratterizzati proprio da questi esponenti fa pensare che tali sistemi siano il risultato di una evoluzione (biologica o idrogeologica) che li ha ottimizzati nel tempo”, ci ha spiegato Diego Garlaschelli, autore del lavoro insieme a Guido Caldarelli e Luciano Pietronero.Non sviluppandosi in uno spazio reale, le reti alimentari sono sempre state considerate un caso a parte. Sono infatti delle semplici rappresentazioni matematiche che descrivono i rapporti tra tutti gli esseri viventi che si trovano a condividere le stesse risorse ambientali. Per capire quale sia l’effetto della mancanza di un vincolo geometrico, Garlaschelli e il suo gruppo hanno analizzato i dati raccolti dagli ecologi in un certo numero di ecosistemi molto diversi tra di loro: le informazioni rilevanti sono il numero di specie viventi in ogni singolo ambiente e le fonti di sostentamento di ognuna di esse. Se una specie ha più di una preda (per esempio il gatto può cibarsi sia di topi che di lucertole), i ricercatori hanno operato una sola scelta a favore della fonte che costituisce il sostentamento principale del predatore. In questo modo, hanno ottenuto quello che nel linguaggio matematico si chiama ‘albero ricoprente’ di ogni rete, ovvero la struttura essenziale che collega ogni singolo componente della rete all’ambiente, attraverso il minimo numero di legami possibili. L’analisi di queste strutture fondamentali ha portato i ricercatori a realizzare che tutte le reti alimentari seguono una legge universale. Quindi, come per le altre reti di trasporto, il rapporto tra le risorse ambientali e il costo per mantenerle è regolato da un esponente uguale per tutti gli ecosistemi, indipendentemente dalle specie viventi che lo abitano. Come previsto, il valore di questo esponente si avvicina moltissimo a quello corrispondente alla massima efficienza possibile per una rete senza dimensioni reali. Ma è importante notare che comunque se ne discosta in maniera significativa: è l’effetto della competizione, che costringe le specie a differenziarsi, sfruttando le risorse disponibili in più modi possibili. “La struttura osservata è quindi il miglior compromesso tra l’efficienza e la diversificazione imposta dalla competizione”, ci ha fatto notare il ricercatore romano. Questo risultato è estremamente interessante se paragonato a quanto si trova per le altre reti di trasporto: la competizione assume lo stesso ruolo dei vincoli geometrici imposti al bacino di un fiume e, come in quel caso, rappresenta un limite all’efficienza del trasporto delle risorse.Quello che differenzia le varie reti alimentari, quindi, non è la struttura fondamentale, bensì tutti gli altri legami secondari che caratterizzano ognuna di esse. Questi legami secondari sono proprio quelli esclusi nell’analisi dei ricercatori, ma svolgono comunque un altro ruolo, altrettanto importante. Essi determinano la stabilità di un ecosistema di fronte a dei cambiamenti: se dovessero sparire tutti i topi, il gatto potrebbe comunque sopravvivere grazie alle lucertole. Ma la struttura fondamentale della rete non subirà variazioni e manterrà la sua forma. “Sembra che le reti reali si possano scomporre in due strutture complementari: le connessioni che formano l’albero, e che danno informazioni circa l’efficienza globale della rete, e quelle che non ne fanno parte, che ne determinano la stabilità”, ha concluso Garlaschelli.