Uno sconosciuto alla mia tavola

Il dibattito mediatico sugli organismi geneticamente modificati, iniziato in forme molto accese nel 1996, anno di introduzione delle piante GM su scala commerciale negli Stati Uniti, coinvolge numerosi attori sociali, portatori di interessi spesso contrastanti. Da una parte si trovano le aziende produttrici di sementi GM, accusate spesso di attuare strategie di penetrazione del mercato troppo aggressive e tese unicamente al profitto, dall’altra ci sono le associazioni ambientaliste (e i partiti «verdi») che giocano un ruolo importante nel dibattito, opponendosi all’ingegneria genetica a sostegno di uno sviluppo alternativo a quello ipertecnologico, identificato con il progetto di una agricoltura «transgenica». Anche le associazioni dei consumatori svolgono un ruolo rilevante, convinte, in maggioranza, della nocività degli OGM sia a livello sanitario che ambientale, impiegando la loro influenza per condizionare il potere politico e indurlo a legiferare contro la possibilità di produrre e commercializzare tali prodotti.

Ancora, la discussione è animata dalle indicazioni di altri attori sociali, fortemente coinvolti e interessati, quali le associazioni agricole, l’industria di trasformazione, la grande distribuzione organizzata. Altri soggetti essenziali nel dibattito, le cui conoscenze e competenze risultano necessarie per la formazione di un parere ben informato sono gli esperti in varie discipline connesse al tema OGM, quali scienziati, economisti, giuristi. Costoro dovrebbero essere teoricamente «imparziali», ma talora hanno concreti interessi in gioco, non sempre visibili ed evidenti. In questa seconda veste svolgono di fatto il ruolo di attori sociali, di parte in causa interessata, anche economicamente, a conseguire certi esiti: tale ruolo viene ormai percepito da gran parte della popolazione. In particolare lo status attuale dello scienziato oscilla tra una crisi di legittimazione e una riconosciuta centralità come figura di riferimento nell’ambito delle decisioni in materia di biotecnologie.

Alcuni media hanno contribuito a estremizzare il dibattito sulle biotecnologie in campo agroalimentare, perseguendo a volte scopi sensazionalistici e ponendo in estremo risalto notizie a favore o contro l’ingegneria genetica, creando aspettative o preoccupazioni, quindi confusione. Talora hanno infatti risposto alla complessità del dibattito con un duplice atteggiamento: legittimando modelli stereotipati nel binomio positivo/negativo, rispetto alle questioni ambientali, sociali, economiche, della salute; offrendo un’informazione troppo complessa oppure troppo semplificata. Insomma, i consumatori sono raggiunti da messaggi ottimistici o catastrofici rispetto a un argomento oggettivamente difficile come quello degli OGM, che tocca molteplici sfere di interesse personale come la sanità, l’ambiente e l’alimentazione.

Il dibattito sui media
Con l’espressione divulgazione scientifica ci si riferisce all’attività di comunicazione tesa a diffondere la cultura scientifica tra il grande pubblico. L’intento che anima questa attività consiste nell’accrescere all’interno della società la consapevolezza del valore e della funzione della scienza, senza intenzioni formative focalizzate su temi specifici. Troviamo coinvolti in tale processo numerosi soggetti che usano i più svariati mezzi: giornali, televisione, radio, Internet, ecc. La divulgazione scientifica non va confusa con la comunicazione scientifica, che è il trasferimento dei risultati della ricerca, ottenuti da istituzioni pubbliche o private, rivolto alla comunità scientifica, ma anche a un pubblico più vasto, seppur di buon livello culturale, che avviene tramite riviste di settore, non sempre altamente  specializzate, ma comunque molto qualificate. In definitiva, le due tipologie di «informazione scientifica» si potrebbero differenziare in base alla fonte: il giornalista, quasi sempre nel caso della divulgazione, e lo scienziato, nel caso della comunicazione, e al veicolo utilizzato: i mezzi di comunicazione di massa, nel primo caso, le riviste più o meno specializzate, i convegni, i seminari, ecc., nel secondo.

Grazie alla diffusione dell’alfabetizzazione a livello popolare e allo sviluppo capillare dei mezzi di comunicazione di massa i contenuti scientifici sono usciti dal ristrettissimo ambito degli addetti ai lavori, e si è affermato il secondo livello dell’informazione scientifica, che è appunto la divulgazione. Con lo sviluppo di questo settore sorgono alcuni interrogativi. Il più importante di questi può essere sintetizzato nella famosa frase di Einstein: «Al mondo non ci sono più di una dozzina di persone in grado di capire la mia teoria». Con tutta evidenza il grande fisico sottolineava il problema della corretta traduzione di tematiche estremamente complesse, che inevitabilmente possono risultare ostiche o essere fraintese dal pubblico non specialistico. In effetti, il problema del divulgatore scientifico, cioè del giornalista, è quello di riuscire a tradurre operando un passaggio da un livello alto a un livello medio di conoscenza. Questa mediazione tra scienziati e lettori con cultura generica si realizza attraverso una vera e propria «traduzione linguistica»: il divulgatore svolge la funzione di interprete. Ma, come è noto, tradurre può significare anche, talvolta, tradire. D’altra parte è innegabile che il messaggio della scienza moderna sia sempre più complesso ed esoterico.

Può avvenire che un redattore privo di una specifica preparazione possa commettere inesattezze e anche errori. Inoltre, il giornalista può svolgere il duplice ruolo: di critico della scienza (ed è una funzione positiva), ma anche di manipolatore, talvolta inconscio, della «notizia» che divulga, facendosi trascinare dai suoi pregiudizi o dalla necessità di evidenziare «solo» tutto ciò che fa notizia, che quindi colpisce il lettore (ovviamente questo intervento è molto problematico).

Tutti gli elementi finora esposti sono rinvenibili nella comunicazione scientifica in tema di OGM. Di fatto anche gli organismi geneticamente modificati sono degli «oggetti giornalisticamente mediati». Nella divulgazione scientifica in questo tema emergono talora forti prevenzioni e pregiudizi, scelte ideologiche del tutto aprioristiche, timori o speranze nei confronti di realtà spesso incomprese.

L’applicazione delle biotecnologie al settore agricolo ha assunto negli ultimi anni grande rilevanza, stimolando dibattiti a livello scientifico e politico e producendo un grosso impatto sulla società e sul mondo dell’informazione. I giornalisti si sono trovati a trattare in questo ambito un argomento molto «caldo», che tocca sensibilità diffuse tra i consumatori e interessi economici rilevanti tra i produttori. E’ inevitabile che questi fattori vadano ad aggiungersi agli altri già indicati, perturbando ancora di più un trasferimento dell’informazione scientifica. Infatti, l’impatto emotivo sul lettore di un articolo divulgativo dedicato alla fisica di Einstein è molto minore di un «pezzo» relativo alla manipolazione genetica di ciò che mangiamo.

Il rapporto MediaBiotech 2005
Il Rapporto MediaBiotech 2005 su OGM e stampa italiana, nato su iniziativa del Consiglio dei Diritti Genetici (CDG), associazione indipendente di ricerca e comunicazione sulle biotecnologie, in collaborazione con il Ministero delle Politiche Agricole e Forestali e la Fondazione Cariplo, ha cercato di analizzare e codificare il rapporto fra scienza e società nel nostro paese, un rapporto riflesso dai mezzi di comunicazione in modo talvolta fedele talvolta deformante, a seconda degli interessi economici, politici e sociali legati alla scienza. L’analisi è stata realizzata attraverso il monitoraggio di dieci quotidiani (Corriere della Sera, la Repubblica, Il Sole 24 Ore, La Stampa, Il Messaggero, Il Giornale, Il Resto del Carlino, La Nazione, Il Giorno, Il Gazzettino, Il Secolo XIX, L’Avvenire) e otto settimanali (Famiglia Cristiana, DiPiù, Oggi, Gente, Chi, Donna Moderna, Panorama, L’espresso), e mediante lo studio delle modalità comunicative e linguistiche utilizzate dai media in alcuni momenti cruciali per il dibattito sugli Organismi Geneticamente Modificati. Infatti, lo studio prende in esame i due periodi compresi tra il 21 e il 24 luglio 2003 e tra il 27 settembre e la prima settimana di febbraio del 2005.

Il Rapporto conferma una tendenza già riscontrata da numerose indagini degli anni precedenti. Dall’analisi degli articoli emerge, infatti, che l’argomento degli OGM acquista importanza per la stampa in relazione a particolari eventi: l’approvazione di normative europee e nazionali (le norme UE su etichettatura e tracciabilità del 21 luglio 2003), e dunque come tema legislativo, o in base a equilibri interni al governo (i due rinvii per l’approvazione del decreto Alemanno l’8 e il 20 ottobre 2004 e la successiva approvazione del decreto), e quindi come tema politico, oppure come specchio del dibattito più ampio con gli scienziati e gli altri attori sociali coinvolti (l’intervento degli scienziati italiani con una lettera in favore degli Organismi Geneticamente Modificati in grado di suscitare un dibattito allargato a economisti, giuristi ed ecologisti). Emerge ancora una volta che il tema OGM, quindi, stimola interesse su più livelli: giuridico, politico,
scientifico, economico e sociale.

Un altro dato interessante che si ricava dalla lettura dei 200 articoli è che la stampa italiana del periodo considerato tende a caratterizzarsi come fortemente valutativa. Tutto ciò emerge, secondo il Rapporto, dalla prevalenza di presentazioni valutative e interlocutorie; dal fatto che anche gli articoli di cronaca presentano spesso giudizi di valore, dalla prevalenza di articoli «soggettivi» (interviste, articoli di opinione, lettere), infine dai numerosi commenti in tutti i tipi di articoli.

Si evince che oltre alla dimensione strettamente scientifica, il dibattito mediatico sugli OGM tocca una dimensione economica molto forte, come dimostra il fatto che la maggioranza degli articoli sono pubblicati su Il Sole 24 Ore, e che proprio questa testata argomenta il maggior numero di valutazioni positive sul tema. Ma è soprattutto la dimensione politica a emergere in modo chiaro, e ciò è individuabile principalmente nelle cronache legate all’iter del decreto Alemanno, negli articoli particolarmente ricchi di opinioni di politici e in quelli che li vedono come protagonisti. Questi ultimi, proprio nei periodi presi in considerazione, hanno spesso rappresentato, in una sorta di palcoscenico mediatico, uno scontro tra opposti schieramenti, uno favorevole e uno contrario all’uso degli OGM.

Altro aspetto molto importante e che fa riflettere è che solo il 46 per cento degli articoli stabilisce delle connessioni tra gli OGM e i  problemi di salute e sicurezza dei cittadini, mentre il 54 per cento degli articoli esaminati non stabilisce alcun legame con tali temi.

La centralità della dimensione politica è rinvenibile, secondo il Rapporto, soprattutto nelle metafore utilizzate per parlare degli OGM. Si tratta di una tipologia di linguaggio tipico della guerra e della tattica militare (il 16,7 per cento), oppure di provenienza sportiva (il 10,9 per cento). Ciò dimostra ancora una volta che quando si parla di OGM si scontrano e si sfidano due opposte fazioni, come se si trovassero su un campo di battaglia o partecipassero a una gara sportiva.

L’uso di questo tipo di metafore è, insomma, un’ulteriore conferma del fatto che quando i media trattano il tema degli OGM, lo fanno con una connotazione di carattere politico e di scontro politico-ideologico. Aggiungiamo, da parte nostra, che i termini usati dalla stampa sono fortemente suggestivi, come per esempio «fondamentalismo», «integralismo», «oscurantismo». Lo stesso può dirsi per l’accezione con cui viene impiegata la parola «libertà»: da un lato libertà di ricerca – invocata dagli scienziati – e intesa come libertà da condizionamenti di tipo ideologico e politico; dall’altro libertà di ricerca – implorata dagli ambientalisti – e intesa come libertà dai condizionamenti dei centri economici e finanziari. La stessa ambiguità è riscontrabile per l’uso di termini tendenti a «valorizzare» gli elementi della natura in contrasto con le applicazioni tecnologiche, da parte dell’universo ambientalista, e viceversa da parte di molti biotecnologi. In sostanza, il lessico riflette il tentativo di delegittimare l’autorevolezza dell’interlocutore piuttosto che la ricerca di un’argomentazione razionale, che ponga al centro questioni fondamentali come, per esempio, la valutazione del livello di rischio socialmente tollerabile, o il rapporto costi-benefici.

La scarsa attenzione nei confronti dei destinatari dell’informazione si individua a più livelli: il 58,5 per cento degli articoli presuppone, da parte del lettore, una conoscenza pregressa di livello medio e il 37 per cento una conoscenza di livello medio-alto. Ciò significa che i giornali italiani tendono troppo spesso a dare già per scontata una conoscenza di tipo tecnico-specialistico quale quella relativa agli OGM. Soltanto l’11,8 per cento dei termini tecnici sono forniti di spiegazione contro l’88,2 per cento che ne sono privi. A soffrirne è l’informazione scientifica – che risulta non adeguata, stereotipata, e insufficientemente approfondita – e l’efficacia della sua divulgazione  – non in grado di raggiungere il maggior numero di cittadini.

Alla luce di questa analisi può essere interessante riportare i dati di un’altra indagine, Biotecnologie e Opinione Pubblica in Italia 2004, Rapporto conclusivo, realizzata da Observa – Science in Society in collaborazione con il Comitato Nazionale per la Biosicurezza e le Biotecnologie. Tale lavoro era teso a rilevare il livello di conoscenza dei cittadini italiani in tema di biotecnologie. Seppur non  perfettamente coincidenti i periodi di rilevamento, riteniamo che le due analisi possano essere affiancate e possano fornirci un’idea degli effetti che può determinare una divulgazione scientifica strutturata come abbiamo avuto modo di rilevare.

Dall’indagine si ricavano alcuni dati interessanti relativi al livello di alfabetizzazione su questa specifica tematica, che tende a migliorare con il tempo. Nel complesso, coloro che hanno forti carenze di conoscenza e consapevolezza in materia di biotecnologie – ovvero coloro i quali sono in grado di fornire al massimo una risposta corretta su quattro – passano dal 57 per cento del 2003 al 41 per cento del 2004. Un dato confortante nonostante sia evidente che permangono ampie lacune, come dimostrano le risposte emblematiche di circa un terzo degli intervistati, che ritiene che «i comuni pomodori non contengano geni, mentre quelli geneticament modificati sì», e del 44,6 per cento che pensa che «gli animali geneticamente modificati siano sempre più grandi di quelli comuni». Negli anni scorsi, alcuni tra gli studi su opinione pubblica e biotecnologie in Italia avevano ampiamente messo in evidenza come la televisione fosse il canale di accesso privilegiato all’informazione in questo settore. Anche nel Rapporto conclusivo del 2004 si legge che più di quattro intervistati su dieci (42,5 per cento) hanno avuto occasione di sentir parlare di biotecnologie in TV nel corso dei tre mesi precedenti la somministrazione del questionario. In particolare, oltre un terzo di quanti ne hanno sentito parlare in TV fa riferimento a notizie dei TG nazionali (35,4 per cento) e circa un quarto (25,8 per cento) a programmi scientifici. Decisamente meno citati i talk show (9,4 per cento), le trasmissioni dedicate ad ambiente e agricoltura (8 per cento), i programmi di inchiesta o approfondimento giornalistico (6,1 per cento) e quasi trascurabile è il riferimento a notiziari locali e programmi «contenitore».

Sono i più giovani e i più istruiti ad aver avuto più frequentemente occasione di sentir parlare di biotecnologie in televisione: circa uno su due nella fascia di età 20-29 anni e tra laureati e diplomati, mentre tra i meno istruiti chi non ne ha sentito parlare supera il 60 per cento e il 55 per cento nella fascia di età oltre i 65 anni.

A fronte di questa situazione, quali sono le aspettative degli italiani nei confronti dell’informazione sulle biotecnologie da parte dei media? Sono sempre i dati dell’indagine Observa a fornirci una indicazione circa la percezione del grado di copertura del tema. A questo proposito, il 70 per cento degli intervistati, quindi la grande maggioranza, ritiene che gli organi di informazione si dovrebbero occupare con maggiore frequenza delle questioni legate alle biotecnologie. Poco più di un quinto (22,4 per cento) pensa che se ne parli già a sufficienza e solo il 6,3 per cento ritiene che se ne parli troppo rispetto ad altri argomenti potenzialmente più rilevanti. Emerge, dunque, una chiara e non evasa esigenza di ulteriore attenzione da parte dei media alle biotecnologie.

Altro dato che emerge con forza è che i cittadini giudicano del tutto insufficiente la preparazione scolastica ricevuta per seguire l’attuale dibattito sulle biotecnologie (quasi metà del campione, 47,5 per cento). Per poco più di un terzo gli strumenti a propria disposizione sono «appena sufficienti» (35,2 per cento), mentre solo il restante 15,7 per cento li giudica buoni. Ma arriviamo al dato che a noi interessa maggiormente in questa sede, e cioè le risposte fornite alla domanda «In che modo si vorrebbe ricevere informazioni sull’argomento?». A tale proposito, gli intervistati hanno dichiarato che le modalità con cui preferirebbero essere informati sulle biotecnologie sono di due tipi: attraverso i mass media tradizionali  (opuscoli allegati a quotidiani, trasmissioni televisive) e piùdirettamente durante incontri in cui istituzioni e ricercatori si rivolgono direttamente al cittadino. Nel primo caso, infatti, la possibilità di essere informati sulle biotecnologie attraverso trasmissioni televisive convince il 30,1 per cento, a cui si somma un decimo circa di intervistati (9,8 per cento) che desidererebbe trovare un allegato sulle biotecnologie con il quotidiano e il 2,9 per cento che opterebbe invece per una serie di manifesti e affissioni. Tuttavia, oltre la metà degli intervistati preferisce forme di comunicazione al di fuori dei canali mediatici tradizionali come, per esempio, un opuscolo inviato a domicilio.

Forse ancora più degno di nota è il dato relativo alla seconda modalità di trasferimento delle informazioni: risulta che oltre un quinto vorrebbe essere informato nel corso di incontri pubblici tra ricercatori e cittadini. Tale dato ci fornisce un’indicazione relativa al desiderio crescente dei cittadini di essere coinvolti in prima persona nelle questioni legate alla scienza e all’innovazione come le biotecnologie, da cui si sentono personalmente toccati. La percezione di inadeguatezza riguarda a questo proposito sia i tradizionali processi decisionali sia i classici canali informativi. Anche lo studio di Observa, come altri precedenti condotti in Italia e in Europa, evidenzia quindi che su questioni come le biotecnologie, che coinvolgono sfere molto personali, i canali informativi tradizionali (TV, stampa quotidiana), anche se largamente diffusi, non sono considerati sufficienti. Non stupisce quindi il dato già menzionato, secondo cui il 70 per cento degli i intervistati ritiene inadeguata l’attenzione che i media attualmente dedicano alle biotecnologie. Questa carenza si riflette sul piano delle aspettative relative non solo alla esigenza di maggiore informazione, ma anche di una trasmissione diversa in termini di modalità e canali. Oltre la metà degli italiani sentiti sul tema delle biotecnologie, in definitiva, domanda nuove forme di comunicazione tra scienza e società che integrino e in una certa misura superino quelle tradizionali. A questo proposito, forse, potrebbero fornire una risposta a tali esigenze i processi partecipativi, già, per altro, ben noti in nazioni come la Gran Bretagna o la Germania. Il processo decisionale in questo settore dovrebbe, quindi, essere il risultato di un confronto più ampio tra politici, associazioni dei consumatori, scienziati, ecc.

In conclusione, possiamo affermare che nel campo delle agrobiotecnologie permangono forti problematiche nel trasferimento del messaggio scientifico. Le due indagini citate dimostrano che esiste un problema di strategia di comunicazione: da un lato i media tradizionali sono il canale preferenziale per acquisire una conoscenza sul tema degli OGM, e dall’altro si evince proprio la inadeguatezza di questi mezzi ad assolvere tale funzione. Oggi le biotecnologie  rappresentano una sfida senza precedenti e stimolano un confronto decisamente nuovo tra scienza, società e mondo dell’informazione. Da una parte, la ricerca dovrebbe esercitare la propria prerogativa di contribuire al miglioramento e al progresso dell’umanità; dall’altra, la società dovrebbe assumere un ruolo critico e propositivo per contribuire alla definizione delle finalità della scienza stessa. A metà strada, il compito del mondo della comunicazione dovrebbe essere quello di mostrare e approfondire tutte le implicazioni che la scienza in generale, e le biotecnologie in particolare, possono determinare, promuovendo un confronto sereno e costruttivo tra le finalità della scienza e le esigenze della società. Il problema del divulgatore scientifico, cioè del giornalista, è quello di riuscire a tradurre operando un passaggio da un livello alto a un livello medio di conoscenza senza fare emergere, nei limiti del possibile, opinioni personali o atteggiamenti aprioristici e favorendo un’informazione trasparente e il più possibile esaustiva.

BIBLIOGRAFIA

AA.VV., Le agrobiotecnologie nei media italiani, a cura dell’Osservatorio di Pavia, 2001-2002.

CONSIGLIO DEI DIRITTI GENETICI, OGM e stampa italiana, Rapporto MediaBiotech, 2005.

BUCCHI M., NERESINI F. e PELLEGRINI G., Biotecnologie e Opinione Pubblica in Italia, Rapporto conclusivo – Observa, 2004.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here