Categorie: Fisica e Matematica

Verso la fusione nucleare

L’obiettivo finale è estremamente ambizioso. E non lo nasconde nessuno: arrivare alla cosiddetta fusione nucleare autosostenuta (non quella fredda di E-Cat, per intenderci). Il processo di produzione di energia che avviene nel Sole e in tutte le stelle: due o più nuclei atomici vengono avvicinati finché si uniscono tra loro a formare il nucleo di un atomo più pesante, emettendo energia. Ma per mettere insieme due nuclei c’è bisogno di raggiungere pressioni elevatissime, che vincano la repulsione elettromagnetica che tende a tenere lontani i protoni. Innescare questo meccanismo sulla Terra, a temperature decisamente più basse rispetto a quelle delle stelle, non è affatto semplice. E impegna gli scienziati da diversi decenni. Riuscirci significherebbe avere una fonte di energia pressoché illimitata (il combustibile usato nella fusione, una miscela di deuterio e trizio, è facilmente reperibile) e pulita, perché, a differenza della fissione, la fusione nucleare non produce scorie.

I ricercatori del Livermore National Laboratory, un centro di ricerca federale nei dintorni di San Francisco, raccontano su Nature di aver compiuto un significativo passo in avanti verso la meta finale. In sostanza, gli scienziati, guidati da Omar Hurricane, sono riusciti a liberare una energia di fusione maggiore di quella assorbita dal combustibile per innescare la reazione stessa. Ovvero, in altre parole, hanno misurato, per la prima volta al mondo, un guadagno di combustibile maggiore di uno. Certo, non si può parlare ancora di ignizione, il processo in cui l’energia di fusione è maggiore di quella usata per confinare i nuclei della miscela di deuterio e trizio. Ma si tratta comunque di un risultato epocale.

Ecco come funziona l’esperimento di Hurricane e colleghi. Un piccolo cilindro in oro, il cosiddetto hohlaurm, che contiene la miscela di deuterio e trizio, viene colpito da 192 fasci laser. La luce riscalda le pareti della capsula, queste emettono raggi X che colpiscono il combustibile a loro volta comprimendolo e riscaldandolo. L’aumento di temperatura e pressione fa sì che i nuclei si avvicinino fino a fondersi. A questo punto interviene il meccanismo di boot-strapping: le particelle alfa, i nuclei di elio prodotti nella fusione deuterio-trizio, depositano la loro energia nel combustibile anziché scappare via: questa energia scalda ulteriormente la miscela e innesca nuove fusioni, con la conseguente produzione di altre particelle alfa, e così via (per questo si parla di fenomeno auto-alimentato). Nell’esperimento di Hurricane, questa resa di fusione è stata sistematicamente aumentata fino a un fattore dieci rispetto ai tentativi precedenti.

Non è la prima volta che viene sbandierato un risultato simile. Già nell’ottobre scorso, la Bbc aveva raccontato che “i ricercatori del National Ignition Facility hanno raggiunto un traguardo cruciale verso il cammino della fusione auto-sostenuta”. Peccato che, allora, la notizia non fosse vera. Si era trattato di un misunderstanding: gli scienziati erano solo riusciti a raddoppiare l’energia prodotta rispetto agli esperimenti precedenti. Ma niente guadagno né pareggio energetico, come confermò immediatamente un editoriale di Science. Sembra invece che oggi ci siano riusciti per davvero. Il clima che si respira è di cauto ottimismo: “Abbiamo osservato un contributo crescente alla resa di fusione proveniente dal boot-strapping”, racconta Hurricane in una conferenza stampa, “ma siamo ancora lontani dal raggiungere l’ignizione. Almeno di un fattore cento, dal punto di vista dell’energia. È come se stessimo scalando una montagna. Sulla cima c’è l’ignizione. Prima era avvolta nella nebbia. Ora iniziamo a vederla”. Buona scalata, dunque.

Via: Wired.it

Credits immagine: Dr. Eddie Dewald (LLNL and member of high-foot team)

Sandro Iannaccone

Giornalista a Galileo, Giornale di Scienza dal 2012. È laureato in fisica teorica e collabora con le testate La Repubblica, Wired, L’Espresso, D-La Repubblica.

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