Spazio

Viaggi interstellari, come evolverà il linguaggio umano nello spazio?

Immaginiamo un lontano futuro in cui l’essere umano, dopo aver colonizzato Marte, sta facendo rotta verso altri pianeti abitabili, fuori dal Sistema solare. Siamo una civiltà tecnologicamente avanzatissima e il tempo e lo spazio che ci separano dai nuovi mondi non sono più un problema: i coloni possono vivere per generazioni su una nave spaziale in grado di provvedere al sostentamento e alla sopravvivenza fino al raggiungimento della meta. Ma se una decina di generazioni non sono niente nell’ottica di un viaggio interstellare, sono invece un arco di tempo sufficiente perché una lingua si evolva, diversificandosi dall’originale. Terrestri e coloni finiranno per parlare lingue diverse: come comunicheranno?

Se lo sono chiesti due linguisti statunitensi, Andrew McKenzie della University of Kansas e Jeffrey Punske della Southern Illinois University, che in un articolo pubblicato su Acta Futura (la rivista dell’Advaced Concepts Team dell’Agenzia spaziale europea Esa) inquadrano le dinamiche possibili di evoluzione del linguaggio durante un viaggio interstellare, avanzando alcuni consigli per mitigare i problemi che potrebbero derivarne.

Lingue in evoluzione

Nello studio i due esperti, sulla base di esempi storico-linguistici e di processi evolutivi anche recenti, discutono di come le lingue (anche quelle dei segni) evolvono nel tempo quando le comunità si sviluppano isolate l’una dall’altra – una cornice che racchiude l’eventualità di un lungo viaggio spaziale a lungo raggio.


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Man mano che passano gli anni e le generazioni si susseguono – spiegano i ricercatori – sulla nave spaziale nasceranno nuovi concetti e problemi sociali di cui parlare: cambieranno le intonazioni e il modo di esprimersi, nasceranno nuove parole. Alla lunga il vocabolario della colonia si differenzierà da quello sulla Terra, dove quei vocaboli semplicemente non avranno senso. Senza dimenticare che non sarà solo la lingua sulla nave spaziale a cambiare: anche sulla Terra la lingua evolverà.

Inoltre se all’inizio del viaggio i coloni avranno molti motivi per comunicare con la Terra, magari per rimanere in contatto con i propri cari, col tempo questi legami verranno gradualmente a mancare perché le persone che si conoscevano non ci saranno più, e lo scambio sarà reso poco efficace a causa del troppo tempo che le informazioni impiegheranno per raggiungere l’uno o l’altro interlocutore.

Oltre le barriere linguistiche

Evitare che le barriere linguistiche tra coloni e terrestri diventino troppo alte, però, è di estrema importanza, secondo gli autori. Basti pensare al fatto che i coloni avranno bisogno di continuare a saper leggere e interpretare i manuali della nave spaziale, scritti nella lingua originale, quella parlata al momento della partenza della spedizione interstellare.

Fosse anche solo per aggiornamenti sporadici tra colonia e madrepatria, qualcuno sia tra i coloni sia tra gli abitanti della Terra dovrebbe conservare la lingua originale, che diventerebbe un po’ come il latino attuale: una lingua comune che nessuno più parla.

Dal momento che nell’ambito di lunghi viaggi spaziali l’emergere di differenze linguistiche sarà inevitabile e le conseguenze non sono prevedibili, gli esperti sono convinti che quando sarà il momento l’equipaggio della nave spaziale dovrà possedere competenze meta-linguistiche che vadano oltre la conoscenza della lingue in sé per sé.

Per ora questi studi potranno anche apparire una speculazione teorica, un affascinante esercizio mentale. Ma in un’epoca in cui parliamo di mandare esseri umani su Marte entro la fine degli anni ‘30 del XXI secolo, è davvero solo teoria? Cominciare a parlare di politiche linguistiche, forse, sarebbe più che opportuno.

Via: Wired.it

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Immagine: JAKO5D via Pixabay

Mara Magistroni

Nata e cresciuta nella “terra di mezzo” tra la grande Milano e il Parco del Ticino, si definisce un’entusiasta ex-biologa alla ricerca della sua vera natura. Dopo il master in comunicazione della scienza presso la Sissa di Trieste, ha collaborato con Fondazione Telethon. Dal 2016 lavora come freelance.

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