Xenotrapianti, dubbi made in Usa

“Scusi, lei è favorevole o contrario agli xenotrapianti?” Questa domanda lascerebbe interdetta la stragrande maggioranza degli italiani. Eppure è possibile che tra non molto venga posta, se non a ciascuno di noi, almeno a un gruppo di persone considerate rappresentative della società italiana. E’ quanto sta per succedere negli Stati Uniti, dove i National Institutes for Health (Nih) hanno istituito un comitato che dovrà esprimersi sulla possibilità di proseguire o meno la sperimentazione clinica del trapianto di organi di animali sull’uomo, ovvero gli xenotrapianti.

Come spiega Fritz Bach, immunobiologo della Harvard Medical School di Boston: “E’ necessario dar vita a un dibattito aperto a tutti i potenziali pazienti, visti i rischi che questa pratica comporta. Nessun trapianto di organo animale deve essere a mio avviso effettuato prima che la popolazione sia stata sufficientemente informata e abbia espresso il suo parere in merito. Anche se, purtroppo, non siamo ancora in grado di definire le reali conseguenze di un’infezione trasmessa all’uomo dagli animali”.

Bach è stato il promotore della richiesta di moratoria dei test clinici sulle sue ricerche, per lanciare una campagna di informazione sugli xenotrapianti. Ma la sua proposta ha incontrato forti resistenze: “Negli Stati Uniti è stata giudicata prematura. C’è stata solo una revisione delle linee guida, che prevede ora un controllo diretto della Food and Drug Administration (Fda) su tutte le sperimentazioni. E anche l’istituzione di un Comitato nazionale di consulenza al quale, a mio avviso, dovrebbero partecipare gli specialisti di tutte le discipline coinvolte. Gli esperti decideranno se continuare con la sperimentazione clinica degli xenotrapianti e, in caso, stabilire le condizioni e il tipo di controlli da effettuare. Il loro parere non sarà però vincolante: la decisione finale spetterà comunque alla Fda”.

Ma le istanze etiche di Bach devono fare i conti con il problema della carenza di organi per i malati in attesa di trapianto. Molte vite umane potrebbero infatti essere salvate, ma la tecnica è tutt’altro che consolidata, soprattutto per quanto riguarda il rigetto. Ed è questo a sollevare le polemiche attuali.

Gli studi e le ricerche non procedono rapidamente perché questo tipo di trapianti incontra molte resistenze: non sono solo i motivi etici a rallentare la sperimentazione, ma soprattutto i rischi di trasmissione alla specie umana. Eventuali malattie infettive virali, sconosciute e incurabili potrebbero infatti diffondersi nella popolazione attraverso il contagio con chi ha ricevuto organi animali. Per evitare malattie virali come l’Aids sono allora stati esclusi i trapianti da primati superiori (scimpanzé e babbuini). Nonostante questi mammiferi siano i candidati ideali, vista la vicinanza genetica con la nostra specie. I maiali sembrano invece più adatti, non solo per le loro caratteristiche fisiologiche e anatomiche simili a quelle umane, ma anche perché modificando il loro Dna è più facile evitare il rigetto degli organi.

Tuttavia il rischio della trasmissione di infezioni rimane. L’Europa è però già un passo avanti rispetto alla realtà americana: è proprio il timore di epidemie ad aver infatti convinto la Comunità europea a sospendere i test clinici di xenotrapianti. Almeno finché non sarà possibile valutare meglio l’impatto della pratica operatoria. Negli Stati Uniti invece la sperimentazione è permessa e regolata dalle linee guida emesse nel 1996 dalla Food and Drug Administration. Misure che parte della comunità scientifica ritiene però inadeguate a contrastare la possibilità di infezioni diffuse nella popolazione. Il dibattito, insomma, è ancora aperto.

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