Imitare male conviene comunque

Innocui, disarmati e facilmente individuabili dai predatori. Ai sirfidi, gli insetti impollinatori che volano come elicotteri e che per questo sono chiamati in inglese “hoverflies”, non resta che fare finta di essere ciò che non sono: pericolosi imenotteri provvisti di pungiglione. Affinata in migliaia di anni dalla selezione naturale, la tecnica di camuffamento nella maggior parte delle specie di sirfidi ha raggiunto quasi la perfezione. La lunghezza delle antenne, la larghezza del torace, l’intensità dei colori, il numero e la forma delle strisce sono pressoché identici a quelle di api o vespe. Tuttavia tra tanti bravi imitatori esiste un numero non trascurabile di insetti che sembra accontentarsi di somigliare solo vagamente al modello di riferimento. 

Stranamente questi “mimi dozzinali”, mascherati male e facilmente riconoscibili, sono sopravvissuti negli anni nonostante sia logico pensare che quelle imperfette performance debbano apparire in un’ottica evolutiva assai poco vantaggiose. Un team di biologi dell’Università di Ottawain Canada, ha deciso di andare a fondo alla questione: analizzando il talento mimetico di 35 specie di insetti elicottero, gli scienziati hanno scoperto che le specie di dimensioni più piccole sono quelle meno abili nell’inganno. 

Così hanno consegnato alle pagine di Nature un’ipotesi del tutto nuova sulle ragioni di questo anomalo mimetismo di serie B: gli insetti più piccoli sono meno appetibili per i predatori e non sentono quindi l’esigenza di affinare la tecnica di mimetismo. Tradotto in linguaggio evolutivo significa che il disinteresse degli uccelli per le prede sotto una certa taglia ha avuto ripercussioni sui meccanismi selettivi, abbassando gli standard richiesti per il mimetismo. Si tratta di una sorta di “selezione rilassata” (relaxed-selection hypothesis) avvenuta in assenza di forti pressioni.

I ricercatori, convinti che questa sia l’unica spiegazione valida di fronte all’esistenza dei mascheramenti mal riusciti, hanno scartato le altre ipotesi avanzate finora. Non vale, secondo loro, la tesi che attribuisce solamente a noi umani la capacità di distinguere le imperfezioni, che invece sfuggirebbero ai predatori di altre specie, e crolla anche l’ipotesi di chi sostiene che i travestimenti difettosi siano piuttosto un tentativo di somigliare a più modelli nello stesso momento. Tanto meno si possono giustificare le pecche nella mimica con la tesi del “satyric mimicry”, secondo cui gli insetti adotterebbero un aspetto volutamente ambiguo per confondere il nemico e prendere tempo.

Riferimenti: Nature doi:10.1038/nature10961

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