Ebola, i sopravvissuti possono aiutare a combattere l’epidemia

I casi, tra quelli accertati, probabili e sospetti, hanno superato quota 18 mila, e le morti causate dall’epidemia di ebola in Africa occidentale sono arrivate quasi a settemila, fa sapere l’Organizzazione mondiale della sanità. La situazione, sebbene con qualche segno di miglioramento (in Liberia l’incidenza starebbe diminuendo e avrebbe smesso di crescere in Sierra Leone), rimane ancora critica e oltre gli interventi medici, l’accessibilità ai test di diagnosi e la disponibilità di assistenza, la mobilitazione sociale continua ad essere un importante strumento nella lotta all’epidemia. E la domanda di aiuti continua ad essere maggiore dell’offerta.

Partendo da questo, una delle possibili strategie locali da adottare contro ebola, potrebbe essere la mobilitazione su larga scala dei sopravvissuti all’infezione. È la proposta che Joshua M. Epstein della Johns Hopkins University e colleghi discutono oggi su Nature, ribattezzata MORE : MObilization of REcovered individuals.

L’idea alla base è semplice: i sopravvissuti all’epidemia sono (teoricamente) immunizzati dal virus e potrebbero quindi prestare assistenza e fornire servizi come lo smaltimento dei rifiuti pericolosi, il trasporto dei malati, la sepoltura delle vittime e svolgere attività di decontaminazione. In questo modo, spiegano Epstein e colleghi, l’incidenza della trasmissione del virus potrebbe essere ulteriormente abbassata, evitando di porre altro personale a rischio.

L’impiego di sopravvissuti nella gestione dell’emergenza non è una novità assoluta. Associazioni come Medici Senza Frontiere e le stesse Nazioni Uniti impiegano già, ma sporadicamente, pazienti sopravvissuti all’infezione nella gestione dell’emergenza. Quel che servirebbe però non è un aiuto sporadico, quanto piuttosto la creazione di un corpo centrale capace di implementare e gestire la strategia MORE in modo coordinato, amplificandone gli effetti.

Finora, spiegano gli scienziati, non si è registrato un solo caso di persona sopravvissuta all’infezione che abbia contratto nuovamente la malattia dal ceppo Zaire ebolavirus (quello responsabile dell’attuale epidemia), sebbene l’immunità acquisita possa comunque diminuire col tempo. Per questo, concludono gli autori su Nature, il primo passo sarebbe ora stabilire quali sono gli individui che hanno un’immunità protettiva, con l’identificazione di marker specifici. Nell’attesa la mobilitazione dei sopravvissuti potrebbe avvenire nei casi in cui non sia necessario essere immuni dal virus, o laddove necessario, usare le stesse attenzioni impiegate da chiunque presti assistenza.

Riferimenti: Nature doi:10.1038/516323a

Credits immagine:  theglobalpanorama/Flickr CC

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