La carica dei professori nonni

L’anomalia italiana balza subito agli occhi. L’età media dei professori universitari in alcuni paesi europei svetta sulle altre, mettendoci in evidente imbarazzo: nel nostro paese la percentuale di ultrasessantenni che insegnano nelle facoltà di fisica è la più alta del vecchio continente. Un dato riportato in un editoriale pubblicato su Nature Physics a firma di due giovani (il dato anagrafico è d’obbligo) fisici italiani, Francesco Sylos Labini (ricercatore del centro Enrico Fermi e del Cnr) e Stefano Zapperi (ricercatore anche lui del Cnr e dell’Infm), intenzionati a descrivere il “caso Italia” ai lettori della prestigiosa rivista.

Il ritratto assume da subito i toni di una grottesca caricatura: un’università in mano a docenti dai capelli bianchi, in posizione di potere, con stipendi invidiabili, attorniati da giovani senza alcuna capacità decisionale e sottopagati. E invece è il fedele identikit di un paese in cui il momento di lasciare la cattedra non arriva mai, in cui abbondano i corsi tenuti da professori di 70 anni, in cui il 41 per cento dei professori di fisica ha appunto superato i 60, mentre solo il quattro per cento ne ha meno di 40. Se poi si fa riferimento ai soli professori ordinari il quadro peggiora: il 47 per cento supera i sessanta e tra i fisici si arriva al 64 per cento. E, dato inquietante, la situazione non sembra destinata a cambiare.

Le colpe? Non possiamo attribuirle esclusivamente all’elevata età pensionabile, dicono gli autori, perché dall’estero abbiamo la dimostrazione che un efficace sistema di reclutamento può compensare il divario generazionale. Negli Stati Uniti per esempio dal 1994 non esiste alcun obbligo per i professori universitari ad andarsene in pensione a un’età stabilita. I criteri più flessibili per l’avanzamento di carriera, correlati al merito e non solo all’anzianità, hanno permesso di mantenere giovani gli staff delle università statunitensi: così dal 1992 al 2003, nonostante l’eliminazione dell’obbligo di pensionamento, la maggior parte dei docenti è rimasta nella fascia d’età trai 45 e i 54 anni.

Inutile, insomma, prendersela con chi a una veneranda età continua ad avere voglia di svolgere il proprio lavoro e riesce ancora a farlo bene. La situazione italiana dipende, invece, in larga misura dall’irregolarità dei flussi di reclutamento. Alle assunzioni in massa degli anni Ottanta, per esempio, non è seguito un costante ricambio generazionale e il modo più diffuso per ottenere l’agognato contratto resta quello di resistere il più possibile, da precario, in un istituto, per ricevere prima o poi il “premio fedeltà”. Che non tiene conto però dei meriti individuali. E così un nuovo arrivato di gran talento può venire scavalcato da un mediocre ricercatore con qualche anno in più di precariato. Il governo Prodi, contrariamente a quanto promesso, denunciano i due fisici, non ha fatto altro che assecondare questa tendenza. Il budget stabilito per il 2007 per sanare la posizione dei ricercatori del Cnr, per esempio, è stato impiegato ancora una volta a beneficio dell’anzianità e non del merito.

Niente a che vedere con quel che accade oltralpe, dove i ricercatori non devono aspettare i capelli bianchi per ottenere un incarico a tempo indeterminato. Tanto che molti giovani cervelli nostrani hanno pensato di trasferirsi là. Il Cnrs francese ha quest’anno reclutato sette nuovi ricercatori in fisica teorica, di cui quattro italiani. L’inverso, neanche a dirlo, non si verifica quasi mai. Eppure il loro sistema non è molto dissimile da quello italiano con salari e carriera che vanno di pari passo con l’anzianità. La differenza, anche qui, è data dalla costanza nelle nuove assunzioni.

In mancanza di una lungimirante politica governativa, c’è chi ha inventato in proprio nuove strategie di svecchiamento del Belpaese. È il caso, non molto riuscito, del Politecnico di Torino che ha deciso di assumere solo professori disposti a lasciare l’incarico prima del tempo stabilito. Offerta rifiutata. Tra le ragioni, molti docenti sostengono che proprio una permanenza prolungata in cattedra può favorire la carriera dei loro giovani “protetti”. E se si cominciasse a limitare l’influenza dei seniores sull’assunzione delle nuove leve?, si chiedono i due fisici in conclusione. Potrebbe essere il primo segnale di cambiamento. Ma chi avrà il coraggio di farlo?

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