Categorie: SaluteSocietà

11/09: il flop della scienza per la sicurezza

Una mentalità da poliziotto, che cerca il colpevole per poi sbatterlo in prigione. Secondo Peter D. Zimmerman, direttore della sezione “Scienza e Sicurezza” al Dipartimento degli studi sulla guerra del King’s College di Londra, è questa la sindrome di cui soffre il comitato di Scienza e Tecnologia del Department of Homeland Security (DHS), lo strumento creato dall’amministrazione Bush nel 2001 per scongiurare altri 11 settembre. Anche grazie alla ricerca, da quella di base all’ingegneria applicata. Ma a dieci anni dalla sua costituzione, la sezione scientifica del dipartimento della “sicurezza in patria” è ancora lontana dal funzionare come strumento di prevenzione per il terrorismo

Le ragioni? In primo luogo la crisi economica. Il comitato di Scienza e Tecnologia oscilla da tempo in una situazione instabile per quel che riguarda il budget, e le cose per l’anno a venire non sembrano migliorare (tagli fino all’81% nella sezione di ricerca). A pagarne le spese soprattutto università e i settori privati, che si sono visti ridurre negli anni gli investimenti, diretti principalmente a sostenere i progetti dei laboratori del Dipartimento dell’Energia. Una scelta sbagliata, afferma l’esperto su Nature, perché concentrare le risorse solo su una branca della ricerca è rischioso e toglie spazio a innovazioni a più ampio raggio.  

Ma anche quando gli sforzi si sono diretti negli ambiti storicamente più di successo della storia americana, come quello legato alle armi nucleari, le cose non hanno funzionato. Ne sono un esempio l’Advanced Spectroscopic Portal (ASP) e il Cargo Advanced Automatic Radiographic System (CAARS), due dispositivi per rivelare sostanze radioattive e armi nucleari, sviluppati dal DHS in collaborazione con il Domestic Nuclear Detection Office. Entrambi però con dei limiti: il primo di funzionamento, il secondo logistici (visto che è stato realizzato senza sapere se fosse possibile adottarlo nei porti). 

Le cose vanno un po’ meglio per quel che riguarda cybersecurity e sicurezza interna: chiavette Usb capaci di distruggere il proprio contenuto per bloccare utenti indesiderati, scanner in grado di distinguere liquidi in bottigliette, contenitori e respiratori più leggeri per i vigili del fuoco. 

Si cade però sugli sprechi contro il bioterrorismo. Dopo i casi di antrace scoppiati a una settimana dell’11 settembre, che uccisero cinque persone, sono stati spesi circa 60 miliardi di dollari in dieci anni nella ricerca sulle minacce biologiche. Questi soldi sono stati investiti per mettere in cassaforte 20 milioni di dosi di vaccino contro il vaiolo, più di 28 milioni di dosi di vaccino contro l’antrace e 2 milioni di dosi di farmaci per queste due malattie più il botulismo. Come sostiene un articolo su Nature sul bioterrorismo, la spesa è stata forse eccessiva per mettersi al riparo da tre minacce soltanto.

Riferimenti: Nature doi:10.1038/477153a; Nature doi:10.1038/477150a 

Anna Lisa Bonfranceschi

Giornalista scientifica, a Galileo Giornale di Scienza dal 2010. È laureata in Biologia Molecolare e Cellulare e oggi collabora principalmente con Wired e La Repubblica.

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