Cioccolato, cessato allarme: l’anandamide non ci droga

Per il cioccolato molti farebbero follie. Il cosiddetto “craving”, cioè la voglia matta per questo alimento, è un fenomeno diffuso prevalentemente nei paesi occidentali e in particolare riguarda le donne. In Italia, dove il consumo di prodotti a base di cacao è relativamente basso, circa 3 kg pro capite all’anno contro una media europea di circa 7 kg.

I benefici del cioccolato

Ma perché questo alimento piace tanto? I cioccolatomani hanno diverse buone ragioni per amarlo: dolce, distende i nervi e concilia il sonno, ma al tempo stesso eccita, rinvigorisce la mente, i muscoli e l’anima, favorisce idee geniali e felici intuizioni. “Gli effetti gratificanti di una tavoletta di cioccolata, spiega Marcello Ticca dell’Istituto Nazionale della Nutrizione, sono dovuti al contenuto in zuccheri semplici, che innalzano il livello ematico di serotonina, a sua volta positivamente influente sul tono dell’umore, e alla presenza di magnesio che migliora la capacità dell’organismo di adattarsi allo stress. L’effetto eccitante è invece dovuto metilxantine, sostanze simili alla caffeina”.

Fin qui dunque nessun problema, ma alcune notizie comparse negli ultimi anni sulla stampa hanno destato un certo allarme sull’abuso di cioccolato: una di queste arrivava dagli Stati Uniti, dove una ricerca pubblicata sulla rivista Nature nel 1996, sembrava dimostrare che il cioccolato potesse dare dipendenza a causa di una sostanza contenuta nel cacao, la anandamide. Si tratta di un lipide in grado di simulare nei mammiferi gli effetti dei cannabinoidi, i principi attivi contenuti nella marijuana. E ciò spiegherebbe in parte l’effetto gratificante della cioccolata.

L’anandamide c’è ma è troppo poca

Fortunatamente per gli amanti della cioccolata, dall’uscita dell’articolo del ‘96 alcuni ricercatori dell’Istituto per la chimica di molecole di interesse biologico del CNR di Napoli hanno lavorato sodo per studiare più da vicino gli effetti della anandamide sul cervello umano, cercando di chiarirne le attività farmacologiche, i meccanismi biosintetici e le quantità in vari cibi.

I ricercatori italiani sono arrivati alla conclusione che la anandamide e le sostanze simili contenute nel cacao – ma anche in altri alimenti come il latte, le nocciole, l’avena e la soia– non sono presenti in quantità sufficienti a provocare nei mammiferi effetti cannabinoide-simili. A scagionare il cacao c’è poi anche il fatto che gli altri alimenti contenenti l’anandamide non hanno alcun effetto sulla psiche. Questi risultati, ottenuti dopo due anni di ricerche, sono stati pubblicati su uno degli ultimi numeri di Nature.

“L’anandamide, scoperta nel ‘92, si lega ai recettori per i cannabinoidi nel sistema nervoso centrale e nei tessuti periferici, inducendo risposte farmacologiche simili, sebbene non identiche, a quelle della marijuana”, spiega Di Marzo, il responsabile del team di ricercatori italiani. “Le concentrazioni di questa sostanza nel cioccolato sono però bassissime e assunta per bocca la sostanza non sembra in grado di dare effetti sul sistema nervoso centrale. Niente paura quindi: per ottenere un effetto psicotropo sarebbe necessario ingerire l’anandamide in concentrazione almeno 100 mila volte superiori rispetto a quelle contenute nella cioccolata.

Oltre a comparire in molti cibi, l’anandamide viene prodotta anche dall’organismo in condizioni normali e patologiche: è stata infatti trovata nel cervello dei mammiferi e nei tessuti periferici, facendo perciò supporre che possa trattarsi di un neuromodulatore. Ed è proprio su questa strada che saranno indirizzate le ricerche future”.

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here