Energia o ecologia?

Calamità atmosferiche e caro petrolio: cronaca di questi giorni. E come unica soluzione si torna a parlare di ricerca di fonti di energia alternative e rinnovabili. Ma basterà a rimediare ai danni già fatti (e a prevenirne di peggiori), o sarà bene praticare anche nuove scelte politiche e socioeconomiche per il futuro? Di questo argomento “scottante” si è parlato la scorsa settimana a Cervia, nell’ambito del convegno “Ecologia contro Ecologismo?”, organizzato dalla Fondazione CerviaAmbiente in occasione del premio internazionale CerviaAmbiente 2000.

Sul fronte della ricerca nei trasporti sono intervenuti Vito Siciliano, della Ansaldo Breda, e Salvatore Di Carlo, responsabile della direzione ambiente e politiche industriali dei laboratori centrali della Fiat. Mentre Ansaldo si concentra soprattutto sulla trazione elettrica, la Fiat si rivolge anche al metano e al biodiesel puntando su un estere metilico estratto dall’olio di colza o di girasole. Sarebbero questi, secondo Di Carlo, i candidati più vantaggiosi nel bilancio economico e ambientale, e quelli che potrebbero affermarsi sul mercato. “L’industria”, ha precisato Di Carlo, “non è né buona né cattiva: fa ciò che chiede il cliente. Prima i clienti chiedevano performance in termini di velocità e accelerazione. Ora il pubblico ha sviluppato una coscienza critica ed è nostro interesse dare una risposta positiva a questa richiesta”.

Anche nel settore della produzione di energia ci si muove per adeguarsi alle nuove richieste di ecosostenibilità. Secondo i dati presentati da Ennio Fano dell’Enel l’energia elettrica prodotta in Italia da fonti rinnovabili rappresenta per ora solo il 25 per cento del totale nazionale (di questa porzione, l’87,2 per cento proviene da fonti idroelettriche, l’8,5 per cento da sorgenti geotermiche, il 3,5 per cento da biomasse e rifiuti e lo 0,8 per cento dall’eolica e fotovoltaico). La produzione lorda di energia termoelettrica in Italia è ancora fortemente dipendente dai combustibili fossili. “L’Enel”, assicura però Fano, “già oggi dà un contributo ‘in negativo’ sulle emissioni di anidride carbonica italiane”. Infatti, dei 500 milioni di tonnellate di CO2 emesse ogni anno dall’Italia, solo 100, cioè il 20 per cento, vengono dagli stabilimenti Enel che producono però il 70 per cento dell’energia termoelettrica italiana. L’Ente ha inoltre sottoscritto un accordo volontario con il ministero dell’Ambiente, il ministero dell’Industria, del commercio e dell’artigianato, impegnandosi a ridurre le emissioni di gas serra del 20 per cento entro il 2006. Eni-Agip, dal canto suo, oltre a portare avanti un’intensa attività di ricerca nel settore gas, ha sottoscritto, assieme alle altre industrie che fanno capo ad Assomineraria (Eni-Agip, Edison Gas, Enterprise, British Gas Italia, Total-Fina-Elf, Mobil e così via) un protocollo in cui viene sanzionato l’impegno ad abbattere le emissioni di gas serra. “Dopo due anni di attività”, afferma Enzo Titone, direttore di Unità Geografiche Italia-Divisione Agip, “il limite di abbattimento del 6 per cento rispetto ai livelli del 1990 è già stato raggiunto”.

A questo punto sorge però un dubbio: se tutti si stanno impegnando così attivamente, da dove provengono le emissioni che il Forum internazionale sul clima ha denunciato a Milano all’inizio dello scorso giugno? L’Italia era allora in ritardo sugli obiettivi del protocollo di Kyoto, con un aumento, negli ultimi otto anni, del 4,5 per cento nelle emissioni complessive e un aumento del 6,5 per cento per la sola anidride carbonica (con picchi del 15 per cento dal settore trasporti e del 10 dalle centrali elettriche e dalle raffinerie). Ed è di pochi giorni fa il verdetto tutt’altro che favorevole emesso dalla riunione Onu sui cambiamenti climatici: finora nessuno dei paesi industrializzati ha ratificato il protocollo di Kyoto e le emissioni di gas serra sono ancora in aumento in Europa e negli Stati Uniti.

Forse, come ha fatto notare al convegno Fulvia Bandoli, responsabile per l’ambiente dei Democratici di sinistra, le esperienze industriali non bastano a soddisfare le esigenze ambientali globali. “Di fronte alla grande contraddizione ecologica del pianeta, l’unità di misura non può essere solo ‘quello che chiede il cliente’, ma anche ‘quello che chiede il pianeta’. E il pianeta chiede meno emissioni”. Bandoli è convinta che la ricerca per l’innovazione debba essere affiancata da profondi interventi strutturali sul fronte dei trasporti (più trasporto pubblico e meno auto private, incentivazione dei trasporti su ferro anziché su gomma), dell’industria e degli usi civili, perché “il mondo non può disattendere il protocollo di Kyoto”. Secondo Bandoli, l’unica strada è quella dell’abbattimento del muro che ancora separa ecologia ed economia e di un progressivo riavvicinamento tra l’approccio ecologico e quello economico: “Oggi gli interessi di ecologia ed economia si avvicinano”, ha concluso Bandoli, “e in mezzo ci sono gli interessi dei cittadini”.

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