A Ceprano le origini degli europei

E’ stato ritrovato in una contrada di campagna vicino a Ceprano, circa 100 chilometri a sudest di Roma. Era il 1994 e fino a quel momento non si era mai visto in Europa un fossile così arcaico. Oggi uno studio filogenetico, analizzando le particolarità morfologiche del cranio dell’uomo di Ceprano, ha gettato nuova luce sulle sue origini e la sua evoluzione. La ricerca, pubblicata sui Proceeding of National Academy of Sciences, è stata condotta da tre paleontologi italiani, Giorgio Manzi, Francesco Mallegni e Antonio Ascenzi, recentemente scomparso. Anche se il cranio di Ceprano somiglia parzialmente a quello dell’Homo erectus, la sua antichità e la sua collocazione geografica lo rendono unico dal punto di vista paleoantropologico. “Probabilemente risale a 800-900 mila anni fa”, ha spiegato a Galileo Giorgio Manzi, direttore dell’Istituto Italiano di Paleontologia Umana, “e sarebbe così un ponte morfologico tra un gruppo più arcaico composto dall’insieme homo ergaster – erectus, presenti in estremo oriente, e uno più recente, l’Homo rhodesiensis, rappresentato da quella nuvola di reperti afroeuropei, dai quali si ritiene che abbia avuto origine l’Homo sapiens”.

Professore, perché l’uomo di Ceprano occupa una posizione cruciale nella catena evolutiva del genere Homo?

“Innanzitutto perché insieme ai reperti riportati alla luce ad Atapuerca, in Spagna, il cranio di Ceprano smentisce la ‘Short Cronology’, una teoria che fa risalire le prime presenze di ominidi in Europa a circa 500 mila anni fa. Da un confronto tra i fossili italiani e altri reperti del Pleistocene inferiore e medio, abbiamo scoperto che i primi rappresentano proprio una sorta di anello di congiunzione tra i due periodi. Ma non solo, l’uomo di Ceprano possiede dei tratti progressivi. Questi potrebbero servire a spiegare l’origine della divergenza che ha portato in Europa alla nascita dell’Homo di Neandertal e in Africa dell’Homo sapiens. Lo conferma l’analisi della morfologia del cranio, elaborata con delle tecniche di tipo fenetico, che considerano cioè il maggior numero possibile di similitudini e differenze osservabili con le altre specie”.

Quali ipotesi quindi si possono fare sulla storia dell’uomo di Ceprano?

“In base alla collocazione geografica del ritrovamento, alla sua datazione e alla sua morfologia è possibile collocarlo nella specie Homo antecessor, come sono stati denominati i fossili ritrovati ad Atapuerca in Spagna, risalenti allo stesso periodo del cranio di Ceprano. In alternativa, si dovrebbe individuare una nuova specie, precedente ai più tardi ominidi europei e africani. Tuttavia se è ormai certo che circa un milione di anni prima gli ominidi erano presenti alle ‘porte d’Europa’, in Georgia, ancora deve essere dimostrato che nella stessa epoca l’Homo era già diffuso in Europa”.

Continuerete dunque i vostri scavi nella località di Ceprano?

“Sì, le attività dell’Istituto continuano con rinnovato vigore da un anno a questa parte. Siamo già passati da una fase di ricognizioni di superficie agli scavi veri e propri, anche se stiamo lavorando su dei livelli più giovani rispetto a quello in cui è stato ritrovato il cranio che potrebbero fare riferimento a circa 300mila anni fa, ma man mano ci avvicineremo al livello più profondo”.

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