Bicep2: molto rumore (per nulla) sull’eco del Big Bang

La notizia cattiva è che l’eco del Big Bang rimane ancora nascosta. Quella buona è che gli scienziati collaborano per cercarla. Infatti lo scorso marzo, a causa di una fuga di notizie o di un prematuro entusiasmo, dal polo Sud arrivava l’annuncio che l’occhio di Bicep2 puntato sullo Spazio, aveva individuato nella radiazione cosmica di fondo i segnali delle onde gravitazionali primordiali prodotte dal Big Bang. L’Agenzia Spaziale Europea (Esa) ha messo in comune i dati raccolti dal suo satellite Planck con quelli degli esperimenti antartici Keck Array e Bicep2 dell’Harvard CMB Group, per verificare i risultati di quest’ultimo. Il 30 gennaio 2015, dopo mesi di lavoro di squadra, i due team hanno pubblicato uno studio congiunto in cui concludono: è ancora presto per cantar vittoria, gli stessi segnali si possono attribuire al pulviscolo della Via Lattea.

Nel tentativo di far chiarezza abbiamo intervistato Giuseppe D’Ambrosi, giovane fisico teorico del Nikhef, l’istituto di fisica nucleare olandese, che da tre anni lavora nel gruppo dell’esperimento VIRGO, a caccia di onde gravitazionali.

L’esperimento Bicep2 è dedicato alla ricerca delle onde gravitazionali primordiali?
“Non proprio. L’esperimento Bicep2 è dedicato allo studio del Cosmic Microwave Background (CMB), la radiazione cosmica di fondo irradiata dal plasma incandescente circa 380 mila anni dopo il Big Bang. In questo lasso di tempo, che per l’Universo è come un batter d’occhi, il plasma si è raffreddato a sufficienza da permettere alla luce, cioè ai fotoni, di propagarsi liberamente”.

Studiando il CMB possiamo avere informazioni su cosa è successo prima dell’inizio della radiazione.In che senso?
“Il CMB è come una musica perenne, un rumore di fondo che senti ovunque ti giri. Nonostante sia quasi omogeneo, indagando sulle piccole variazioni delle sue caratteristiche (frequenza, temperatura e così via) in diverse zone dello Spazio, è possibile desumere un modello che descriva i primi istanti dell’Universo.

Quindi che collegamento c’è tra l’esperimento Bicep2 e le onde gravitazionali?
“Nel segnale rilevato da Bicep2 ci sono diverse componenti: scalare, tensoriale…Una parte, quella tensoriale, si spiega soltanto come onda gravitazionale, quindi gli scienziati hanno pensato di poterla individuare ‘scremandola’ dal resto del segnale. È un metodo indiretto per rilevare le onde gravitazionali, ma esistono anche esperimenti dedicati, per esempio alle onde prodotte da corpi celesti o da altri fenomeni diversi dalla nascita dell’Universo”.

Come si può spiegare semplicemente il concetto di onda gravitazionale?
“Le onde gravitazionali sono state introdotte dalla teoria della relatività generale di Einstein, che è quella che oggi descrive meglio la gravità, ma non sono mai state osservate direttamente. L’immagine più semplice è quella che rappresenta lo spazio-tempo come una coperta, che si deforma se ci poggiamo una pallina sopra. Il punto è che se questa pallina si muovesse, anche la coperta vibrerebbe un po’ e noi potremmo vedere questo tremolio che si espande sulla coperta come un’onda. L’onda gravitazionale non è qualcosa che si propaga nello spazio, è una perturbazione dello spazio-tempo stesso”.

Cos’è andato storto nell’esperimento?
“Unendo i dati di Bicep2 con quelli raccolti dal satellite Plank, i due team hanno dovuto concludere che l’errore delle misure era tale per cui non si poteva distinguere precisamente il CMB dal disturbo dovuto alla polvere galattica, quindi tantomeno distinguere la componente gravitazionale nel CMB”.

Perché l’annuncio di Bicep2 sarebbe stato così importante?
“La teoria del Big Bang è in accordo con i risultati sperimentali ma rimangono alcune domande aperte, e nulla vieta agli scienziati di formulare modelli alternativi, purché siano congruenti con le osservazioni (è stato infatti pubblicato in questi giorni uno studio che nega il Big Bang). L’annuncio di Bicep2 avrebbe eliminato alcune sotto-teorie, confermando quella dell’Inflazione. Questo modello, adesso prevalente, afferma che in una fase iniziale l’espansione dell’Universo sia avvenuta più veloce della velocità della luce, ma esistono anche pareri diversi”.

Credits immagine: ESA/Planck Collaboration. Acknowledgment: M.-A. Miville-Deschênes, CNRS – Institut d’Astrophysique Spatiale, Université Paris-XI, Orsay, France

Articolo prodotto in collaborazione con il Master Sgp della Sapienza Università di Roma.

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