Epatite C, il mercato abbasserà i costi dei farmaci?

Vent’anni di lavoro, miliardi di dollari di investimenti, centinaia di ricercatori e clinici in tutto il mondo. Un impegno gigantesco, quello per mettere a segno un altro colpo nella lotta all’HCV, il virus che fino al 1989 era semplicemente “non A non B” e che dopo la sua scoperta, grazie a tre scienziati della Chiron Corporation, è diventato un libro aperto tutto da leggere. Ecco perché, all’ultimo congresso della European Association for the Study of the Liver (Easl), si respira un’aria di vittoria. Perché la malattia è a un passo dall’essere debellata. Dopo sofosbuvir, l’antivirale che, in associazione con interferone e ribavirina, promette un tasso di guarigione superiore del 30-40% rispetto alla terapia standard, sono infatti arrivate (o sono in arrivo) le molecole che potrebbero spazzare via una volta per tutte l’HCV facendo a meno dell’interferone, vera dannazione dei pazienti a causa dei pesanti effetti collaterali: simeprevir, dasabuvir, daclatasvir, grazoprevir, elbasvir, più altre ancora nella pipeline delle aziende farmaceutiche, in fase di sperimentazione o in attesa di approvazione.

Dal punto di vista clinico, l’arrivo di questi antivirali è una rivoluzione. “Questa è una fase delicata ma bellissima della ricerca in questo settore”, commenta Nicola Caporaso, professore di Gastroenterologia all’Università Federico II di Napoli. “In questi anni – continua Caporaso – abbiamo visto morire moltissimi pazienti. Oggi per il virus B la battaglia è quasi vinta, grazie anche alla lungimiranza delle scelte di politica sanitaria fatte dall’Italia più di dieci anni fa. Nel 2002 la vaccinazione dei bambini tra 0 e 12 anni ha di fatto arrestato la diffusione della malattia”. Ma la storia del virus C è molto diversa, e ancora drammatica. Innanzitutto dal punto di vista epidemiologico. L’Italia è uno dei paesi occidentali dove la diffusione è maggiore, tra i 6 e i 700 mila casi stimati, con diecimila morti ogni anno. E sebbene non esista un registro delle epatiti, si tratta di numeri certamente elevatissimi. Colpa, dice Caporaso, di errori fatti negli anni Sessanta e Settanta, quando il virus era ancora un’entità sconosciuta e per una semplice iniezione di “ricostituente” si usava la stessa siringa per più persone. Colpa della carenza di norme igieniche negli ospedali, delle trasfusioni di sangue infetto degli anni Ottanta, dello scambio di siringhe tra tossicodipendenti, di pratiche sessuali con sanguinamento. Oggi, grazie al miglioramento delle pratiche sanitarie, i nuovi infetti sono pochi e concentrati soprattutto nei grandi centri urbani, conferma Massimo Puoti, direttore della Struttura Complessa di Infettivologia al Niguarda di Milano. Preoccupa invece l’aumento dei casi in paesi del Nord Europa come Germania, Francia, Olanda e Regno Unito, dovuti al ritorno delle droghe per via endovenosa.

Ecco allora che la soddisfazione palpabile tra gli esperti dell’Easl ha molte ragioni d’essere. I nuovi farmaci promettono infatti di eradicare il virus. Significa guarigione, in oltre il 90 per cento dei casi. Ma questa rivoluzione ha un prezzo altissimo. È quello dei farmaci: 36 mila euro per ciclo di trattamento, in Italia. Un costo variabile nei diversi paesi (in Egitto il trattamento a base di sofosbuvir costa meno di mille euro, negli Stati Uniti quasi cinquantamila) ma che comunque pesa in modo insostenibile sulle casse dei Sistemi sanitari nazionali. Così, l’entusiasmo dei clinici viene contrastato dalle preoccupazioni dei pazienti. Chi avrà diritto al farmaco all’interno del Ssn? Chi invece dovrà pagarlo di tasca propria? “I nuovi antivirali hanno prezzi inconcepibili e ingiustificati, sia dal punto di vista degli investimenti sia da quello degli studi clinici. E l’Italia non ha tutte queste risorsa da destinare all’acquisto di questi farmaci”, commenta ancora Puoti. E però, continua l’infettivologo, se calcoliamo il costo per anno di vita di buona qualità di un paziente in dialisi, ci accorgiamo che questo ammonta a circa 30 mila euro l’anno. Con i nuovi farmaci possiamo invece, in tre mesi di trattamento, liberare definitivamente il paziente dalla malattia”.

In effetti, aggiunge Caporaso, “anche i costi che abbiamo sostenuto fino a oggi per ogni paziente, diretti e indiretti, sono stati altissimi, così come quelli delle terapie attuali, poiché queste devono protrarsi per anni. Anche molti dei nuovi farmaci in oncologia hanno costi elevati, sebbene aumentino la speranza di vita di poche settimane. Qui invece abbiamo la possibilità di guarire definitivamente da una malattia. Non è poco”.

Dunque la speranza di tutti è che con l’arrivo sul mercato di molte altre molecole, i prezzi calino come sempre succede quando sulla scena economica si affacciano i competitor. Per questo fa ben sperare l’annuncio, nel marzo scorso, dell’accordo tra l’Agenzia italiana del Farmaco (Aifa) e Abbvie, la farmaceutica rivolta ai farmaci innovativi nata da una costola di Abbott: entro poche settimane sarà disponibile sul mercato italiano un regime terapeutico orale senza interferone (principio attivo dasabuvir, prodotto nello stabilimento di Campoverde di Aprilia, in provincia di Latina, per tutto il mercato europeo) per il trattamento dei pazienti con epatite cronica C (genotipo 1 e 4).

“Per verificare l’efficacia, la sicurezza e la tollerabilità della nostra molecola abbiamo condotto sei programmi di studi clinici su 2600 pazienti”, spiega all’Easl Juan Carlos Lopez-Talavera, vice presidente della ricerca in epatologia di AbbVie. I primi due studi hanno confrontato la combinazione ombitasvir/paritaprevir/ritonavir più dasabuvir sul genotipo 1a e 1b vs placebo. E i dati di abbandono della terapia sono stati dello 0,6% in entrambi i casi (terapia e placebo)”. Altri tre studi hanno invece cercato di capire se contro il virus di genotipo 1a e 1b fosse possibile eliminare ribavirina dalla combinazione. Dimostrando che è possibile farlo sul genotipo 1b ma non su quello 1a. L’ultimo studio ha invece dimostrato l’efficacia delle molecole sui pazienti con cirrosi. Il futuro della ricerca, conclude Talavera, è quello di lavorare sull’efficacia per i genotipi 2 e 3, e di rimuovere ribavirina nel trattamento del genotipo 1a.

In campo è scesa scende anche MSD con l’associazione grazoprevir/elbasvir, che al congresso viennese mostra gli ultimi risultati degli studi clinici di fase 3. Un’unica pillola una volta al giorno efficace anche sui pazienti più difficili, quelli con cirrosi, co-infezione HIV-HCV, insufficienza renale cronica/dialisi.

Nuove molecole sempre più potenti, apertura del mercato, calo dei prezzi dei farmaci. Questo è dunque quello che si aspettano clinici e pazienti. Ma la strada sembra essere ancora lunga. Il rischio infatti è che l’accesso alle cure sia limitato e disomogeneo: “Oggi in Italia sono circa 400.000 le persone con infezione cronica da virus dell’epatite C candidabili ad un trattamento curativo dell’epatite”, sottolinea Antonio Craxì, professore di Gastroenterologia all’Università di Palermo: “tra questi pazienti, almeno 50-60.000 hanno urgente bisogno di essere trattati, per lo stadio già avanzato della loro malattia epatica. Potenzialmente, nei prossimi due anni dovranno essere curati non meno di 100.000 pazienti. Questo bisogno pressante si scontra però con una rilevante disomogeneità nell’accesso alle cure da Regione a Regione”.

Credits immagine: AJ Cann/Flickr CC

 

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