42mila anni e non sentirli. I nematodi estratti dal permafrost tornano in vita

Dopo ben 42mila anni, alcuni vermi rimasti sepolti nel permafrost dell’Artico sono tornati in vita. È questa la scoperta straordinaria appena fatta dai ricercatori dell’Istituto russo di scienze della terra di Mosca e del Dipartimento di geoscienze dell’Università di Princeton (New Jersey) che hanno raccontato sulle pagine di Doklady Biological Sciences come questi vermi cilindrici, chiamati nematodi, abbiano ricominciato dopo poche settimane dallo scongelamento a muoversi e a mangiare, stabilendo così un nuovo record per il tempo in cui un animale può sopravvivere alla conservazione criogenica.

Per prima cosa, il team di ricercatori ha individuato più di 300 campioni di sedimenti di permafrost di periodi e luoghi diversi in tutto l’Artico e alcuni di questi sono stati poi portati nei loro laboratori dell’Università di Mosca per studiarli più attentamente. Dalle analisi i ricercatori hanno scoperto che nei campioni erano presenti nematodi di due generi diversi: alcuni, appartenenti al genere Panagrolaimus, sono stati trovati a 30 metri sottoterra in quella che un tempo era stata una tana di uno scoiattolo, rimasta congelata circa 32mila anni fa. Gli altri, invece, erano del genere Plectus e sono stati trovati a una profondità di circa 3,5 metri in un sedimento di circa 42mila anni.

Successivamente, i nematodi sono stati posizionati nelle piastre di Petri con un nutriente. E solamente dopo alcune settimane a una temperatura constante di 20 gradi (quindi relativamente calda) i ricercatori hanno notato che i vermi mostravano gradualmente i primi segni di vita. I ricercatori hanno precisato che il fatto che i nematodi siano stati trovati nel permafrost a profondità molto superiori rispetto a quelle cui si osservano normalmente fa dedurre che effettivamente si trovano lì da moltissimo tempo. Inoltre, lo scongelamento stagionale in quella regione è limitato a soli 80 centimetri circa, e non c’è stato alcun accenno di scongelamento oltre il metro e mezzo quando il clima era più mite, circa 9mila anni fa.

Questa scoperta potrà aiutare la comunità scientifica a imparare di più sui meccanismi biochimici che i nematodi usano per resistere a condizioni così estreme e aprire la strada a migliori tecnologie di crioconservazione che ci consentano di conservare meglio tessuti umani, come per esempio per i trapianti. “È ovvio che questa scoperta suggerisce che i nematodi abbiano alcuni meccanismi adattativi che possono essere di importanza scientifica e pratica per campi della scienza come la criomedicina, la criobiologia e l’astrobiologia”, spiegano i ricercatori. Precisiamo che non è la prima volta che si riesce a riportare in vita un organismo così vecchio: nel 2000, infatti, la comunità scientifica era riuscita a risvegliare un batterio del genere bacillus, che per 250milioni di anni era rimasto intrappolato all’interno di alcuni cristalli di sale.

Tuttavia, quest’ultima scoperta desta già qualche preoccupazione, in particolare sul fatto che lo scioglimento del permafrost potrebbe rilasciare agenti patogeni bloccati per decine di migliaia di anni: è improbabile che i nematodi siano pericolosi per gli esseri umani, spiegano i ricercatori, ma la loro sopravvivenza è la prova che una vasta gamma di organismi, dai batteri agli animali, dalle piante ai funghi, potrebbe potenzialmente tornare in vita dopo una lunga assenza. Non ci rimane quindi che sperare che solamente qualche altro verme sia tutto ciò di cui ci dobbiamo preoccupare di ritrovare nel ghiaccio che si sta sciogliendo per colpa dei cambiamenti climatici.

Via: Wired.it

Marta Musso

Laureata in Scienze Naturali alla Sapienza di Roma con una tesi in biologia marina, ha sempre avuto il pallino della scrittura. Curiosa e armata del suo bagaglio di conoscenze, si è lanciata nel mondo del giornalismo e della divulgazione scientifica. “In fin dei conti giocare con le parole è un po' come giocare con gli elementi chimici”.

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