5 miti scientifici duri a morire

La fine dell’anno è da sempre tempo di bilanci e di classifiche. Dalle principali riviste scientifiche, come Nature e Science, sono appena arrivate quelle relative ai top scientist del 2015 e alle scoperte dell’anno. In contemporanea però dalla rivista Nature – nello specifico dalla sua sezione news – arriva la lista dei cinque miti scientifici ancora oggi duri a morire. Una top five che riassume alcune della più diffuse convinzioni scientifiche, e che ci ricorda quanto sia difficile eradicare i miti e credere alla scienza, anche quando i fatti contraddicono le nostre credenze ed opinioni. Anzi sappiamo che spesso l’opera di debunking è addirittura controproducente. Eppure cercare di capirne le origini, come e perché hanno tanta presa è un passo fondamentale per cercare di evitare che nuovi ne nascano e combattere quelli esistenti. Perché – e lo sappiamo – credere a cure miracolose, approfittandosi delle ansie e delle paure delle persone rischia di avere un impatto fortissimo sulle loro vite.

In termini di salute in primis, ma anche distogliendo le priorità della ricerca e sperperando fondi.

Partendo da questa premessa Nature stila la lista di cinque tra i più grandi miti duri a morire, cercando di guardare anche all’origine di questi miti, ponendo l’accento su credenze meno conosciute rispetto a grandi bufale come quello del legame tra vaccini e autismo, ma comunque molto radicate. Ecco quali.

1. Lo screening salva le vite per tutti i tipi di cancro
L’idea ha avuto origine agli inizi del Ventesimo secolo, quando i medici hanno cominciato a osservare che i migliori risultati si avevano per i tumori identificati e trattati precocemente. Il successivo passo – logico – è stato quello di pensare: prima lo troviamo prima lo combattiamo, meglio riusciremo nella lotta al cancro. Eppure le evidenze mostrano che non sempre le cose stanno così. Il semplice fatto di trovare precocemente un tumore non lo trasforma in un vantaggio, spiegano gli esperti.

Alcuni studi che hanno analizzato gli effetti dello screening precoce sulla mortalità per alcuni tipi di cancro, come quello alla tiroide, alla prostata e alcuni anche al seno, non hanno infatti osservato l’attesa diminuzione della mortalità. Questo perché alcuni tumori, a prescindere da quando verranno identificati, porteranno alla morte, altri invece potrebbero evolversi lentamente da non compromettere la vita dei pazienti; a volte gli esami stessi possono avere effetti collaterali e gli interventimedici derivanti in alcuni casi potrebbero rivelarsi inutili (un esempio calzante della complessità delle discussioni sul tema è quello dell’utilità o meno delle mammografie, su cui le posizioni ufficiali sono a favore dello screening precoce ma su cui si continua a dibattere).

Quelli citati sono tutti fattori in cui gioca un ruolo chiave l’imprevedibilità dell’evolversi di una situazione medica che gli screening precoci cercano solo in parte di imparare a gestire. In tutti i casi quello che ai test diagnostici si dovrebbe chiedere è di dimostrare la reale capacità di salvare vite. Un argomento certamente complesso e che non nega l’importanza dello screening regolare per alcuni gruppi a rischio di cancro, come quello al colon per esempio.

2. Gli antiossidanti sono buoni, i radicali liberi cattivi
Le divisioni nette quasi mai raccontano la realtà dei fatti. Ne è un buon esempio il caso dei cattivi radicali liberi – responsabili dell’invecchiamento – contrapposti ai buoni antiossidanti. Una teoria che ha preso corpo a partire dalla metà del secolo scorso ma che a partire dagli anni Duemila ha cominciato a vacillare con gli studi condotti sui topi che mostravano come, contrariamente alle attese, topi che producevano più radicali liberi non morivano prima e che sovradosi di antiossidanti non facevano vivere più a lungo. Oggi la maggior parte dei ricercatori, riferisce Nature, crede sì che i radicali liberi causino danno cellulare, ma che si tratti di una normale reazione allo stress. E la questione è più che mai aperta, a dispetto del florido mercato di cui ormai godono gli antiossidanti e tutti i prodotti che li contengono.

3. Il nostro è un cervello eccezionalmente grande
Sì, abbiamo un cervello grande. Grande rispetto ad animali di dimensioni simile alle nostre. Ma, tenendo conto delle proporzioni corporee, non siamo poi così eccezionali, basta guardare ai topi o ai delfini. Senza contare che alcuni uccelli hanno invece un cervello ancora maggiore, se guardiamo alle proporzioni. L’idea che la grandezza eccezionale (sebbene inesatta) del nostro cervello o l’abbondanza di neuroni riuscisse a spiegare la nostra unicità ha fatto un disservizio più che un servizio alle neuroscienze, perché non ci ha permesso di focalizzarci su altre caratteristiche tipiche della nostra specie, tuonano alcuni esperti.

4. Impariamo meglio se lo facciamo come vogliamo
Uno dei miti più comuni sul cervello è quello secondo cui ognuno di noi avrebbe il suo stile di apprendimento e che come tale riesca a interiorizzare alcuni concetti meglio se arrivano per canali specifici. Per esempio, un visual learner tenderebbe ad acquisire meglio i concetti se presentati per immagini o grafici. Ma se è vero che ciascuno di noi ha delle preferenze sul modo di imparare qualcosa e se è altresì vero che più canali (visivi, verbali) sono meglio di uno nell’insegnamento, di dati chiari che mostrino che impariamo meglio se lo facciamo come vogliamo non ce ne sono. Ma a dispetto delle critiche mosse alla categorizzazione degli studenti in base agli stili di apprendimento e alle evidenze sul campo, l’idea rimane forte.

5. Presto saremo troppi
Oggi siamo circa 7,3 miliardi di persone e nel 2050 saremmo circa 9,7 miliardi. Saremo di più, tanti di più, e sfamare tutti diventerà una sfida. Ma secondo alcuni esperti il problema non sarà strettamente produttivo. Alcune stime dicono che produciamo abbastanza cibo, e che la crescita della popolazione si è accompagnata anche alla crescita delle calorie disponbibili per persone. Il problema è sì la produzione, soprattutto affrontandola in modo da non compromettere la disponibilità delle risorse – prima tra tutti l’acqua – ma a oggi il problema è soprattutto delladistribuzione del cibo. Più che un problema di overpopolazione quello demografico è un problema di povertà ed equità, tuonano alcuni esperti.

Via: Wired.it

Credits immagine: Kevin Lau/Flickr CC

 

 

3 Commenti

  1. Eh sì, i “miti” sono duri a morire 🙂

    Per quanto riguarda il #4, credo che la questione non sia tanto l’imparare meglio, quanto in modo meno gravoso: magari il risultato è lo stesso, ma ci siamo affaticati/annoiati di meno!

  2. A qualcuno fa comodo far credere che una maggiore equita’ della distribuzuione delle risorse del pianeta potrebbe risolvere tutti i problemi della sovrappopolazone.A mio parere NON e’ vero:;puo’ migliorare la situazione, ma NON risolvere.Per risolvere i lproblema occorre una regolazione delle nascite che bilanci gli effetti dei progressi della medicina sulla mortalita’.

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