La droga dell’invincibilità

Gian Luigi Gessa
Cocaina
Rubbettino editore 2008, pp. 134, euro 8,00

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Ora vale più del suo peso in oro, ma prima della sua messa al bando, nel 1914, veniva normalmente utilizzata in medicina e come ingrediente di bevande di cui la Cocacola è solo uno degli esempi più popolari. La storia della cocaina è affascinante quanto gli effetti che produce e quanto i meccanismi che regolano la sua azione all’interno degli organismi. Il breve saggio di Gian Luigi Gessa, docente di Farmacologia presso l’Università di Cagliari e fondatore della rivista “Medicina delle tossicodipendenze – Italian Journal of Addictions”, racconta in modo semplice e documentato tutto ciò che c’è da sapere su una delle cinque sostanze naturali che hanno l’eccezionale proprietà di provocare piacere e dipendenza in chi le assume. Al di là dei pregiudizi e dei tabù, l’autore ne ripercorre la storia, dai masticatori di foglie di coca agli straordinari guadagni del corso Angelo Mariani, il cui Vino Mariani (a base di cocaina) era normalmente consumato nelle case reali europee, nel palazzo degli Zar di Russia, nella Casa Bianca e da artisti di fama mondiale come lo scultore della Statua della Libertà, gli scrittori di fine Ottocento, e le attrici Eleonora Duse e Sarah Bernhardt.

Una storia che va di pari passo con quella della medicina, e che comincia con il chimico dell’università tedesca di Gottinga, Albert Niemann, che per primo, nel 1858, estrasse dalla pianta di coca (Erythroxylon coca) il principio attivo, fino agli studi di neurologia e alle sperimentazioni animali sui meccanismi chimici alla base della dipendenza, denunciata per la prima volta in un articolo apparso su “The Lancet”, il primo novembre del 1890.

La droga provoca un senso di euforia, di invincibilità e infaticabilità in chi la assume, tanto che le foglie di coca venivano distribuite ai minatori peruviani della seconda metà del Cinquecento al posto del salario e, subito dopo la scoperta di Niemann, le due case farmaceutiche Parke Davis e Merck pensarono bene di spacciarla come la panacea di tutti i mali. Sigmund Freud fu tra i primi a sperimentarla e a provarne gli effetti di antidepressivo e a scriverne nel suo saggio “Uber coca”. Con l’avvento delle tecniche di neuroimaging si è poi visto che il piacere e la dipendenza dalle droghe (due fenomeni solo inizialmente collegati) hanno una base biologica: come altre sostanze stupefacenti, la cocaina attiva le aree del sistema limbico e provoca variazioni nei recettori e nei neurotrasmettitori. L’azione della droga sul cervello degli animali è irreversibile, tanto che un ex tossicodipendente, come un ex alcolista, può facilmente avere delle ricadute anche dopo mesi o anni di astinenza.

In un percorso che non rispetta sempre la successione storiografica ma che inframmezza riflessioni e considerazioni di ordine sociologico, filosofico e  medico ad aneddoti, Gessa spiega gli effetti della cocaina a seconda dei modi in cui viene assunta, e la differenza che intercorre tra consumatori occasionali, abituali e tossicomani (che rappresentano solo una percentuale relativamente modesta di chi ne fa uso). Emerge così la differenza tra la dipendenza e il comportamento compulsivo di chi invece è schiavo (addicted) della sostanza, uno stato che implica una dipendenza non solo fisica, ma psicologica dall’oggetto del desiderio, che non deve essere necessariamente consumato. “Chi crede di poter entrare nel tempio della felicità per questa porta”, si legge in un passo del saggio che cita il Phantastica di Louis Lewin, “si procura le sue effimere delizie a spese del corpo e dell’anima”.

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