Il dopo Kyoto è sempre più lontano

Il 2020 ormai è diventata una delle tappe più gettonate dagli accordi internazionali. Dopo i piani a lungo termine dell’Europa, anche la Climate Change Conference di Durban (Cop17) ha deciso all’ultimo momento di cominciare a mettere in cantiere un nuovo piano per la riduzione delle emissioni di gas serra, che dovrebbe diventare operativo tra ben nove anni. 

Mettere d’accordo tutti i 194 paesi partecipanti alla Cop17 non è affatto facile, ecco perché i rappresentanti delle delegazioni riunite in Sudafrica hanno deciso di rimandare le decisioni più difficili. Da una parte, alcuni paesi industrializzati non vogliono accettare nuove limitazioni alla quantità di CO2 immessa in atmosfera, dall’altra, i paesi emergenti reclamano fette di mercato sempre più grandi. In attesa di sciogliere i problemi più spinosi, sul tavolo delle trattative sono arrivate anche altre proposte.

Ad Hoc Working Group on the Durban Platform for Enhanced Action 

Il nome tanto esteso di questo panel la dice assai lunga sugli obiettivi a breve termine prefissati dalla Cop17 di Durban. Nell’impossibilità di adottare fin da subito un nuovo piano per regolare le emissioni di CO2, le delegazioni mondiali hanno formato un gruppo di lavoro il cui scopo è quello di concordare i dettagli del piano che sostituirà il protocollo di Kyoto nel 2020. In pratica, si tratta di un immenso lavoro di riformulazione delle proposte discusse a Durban nel tentativo di arrivare a una nuova bozza di trattato che verrà proposta non più tardi della Climate Change Conference 2015. Se tre anni di discussione sembrano un’eternità, non è affatto scontato che basteranno per trovare un accordo.

Rinnovare il protocollo di Kyoto

L’accordo globale sulla riduzione delle emissioni di gas serra siglato nel 1997 e operativo nel periodo 2008-2012 verrà prolungato per almeno altri cinque anni. Di fatto, l’adozione reiterata del vecchio protocollo è necessaria per mantenere in piedi il mercato delle quote CO2 che i paesi industrializzati possono comprare dalle nazioni emergenti per “pareggiare” il bilancio globale dell’inquinamento. Tuttavia, non tutti i partecipanti alla Cop17 concordano su questo punto. Così come gli Stati Uniti si sono sempre rifiutati di aderire al protocollo di Kyoto, a Durban anche Russia, Canada e Giappone hanno respinto l’ipotesi di rinnovo. Anzi, il ministro dell’ambiente canadese, Peter Kent, ha appena annunciato che il suo paese abbandonerà fin da subito il Protocollo di Kyoto: non rispetterà il 6% di tagli delle emissioni previste per il 2012 e non pagherà la multa prevista (che ammonterebbe a circa 13,6 miliardi di dollari). Non è ancora chiaro che ripercussioni avrà questa decisione, ma se le posizioni dei paesi “dissidenti” rimarranno tali, è improbabile che un Kyoto-2 possa regolare le emissioni di alcune delle potenze industriali più inquinanti del pianeta.

Istituire un Fondo Verde

La decisione di lanciare il Green Climate Fund permetterà alla United Nations Framework Convention on Climate Change (Unfccc) di disporre di un organo decisionale in grado di stanziare fondi per progetti green. Non è ancora ben chiaro quale sarà il capitale a disposizione, ma è certo che la maggior parte degli investimenti verranno indirizzati a favore dei paesi emergenti. A conti fatti, però, sembra difficile che tecnologie e soluzioni “verdi” possano risolvere da sole l’empasse che vede le potenze mondiali incapaci di stringere un accordo unitario.

1 commento

  1. Secondo me neanche nel 2020 si farà qualcosa,questi meeting e congressi x salvare l’ambiente sono solo stronzate dei politici per fare bella mostra di se e prendersi i soldi della trasferta.
    Ma questo mondo andrà in rovina se le popolazioni non faranno da sè!

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