A Firenze il museo è integrato

Circa 100 mila volumi e opuscoli, oltre 1000 testate di periodici, di cui 200 correnti, oltre 6 mila opere in microfilm e microfiche. Il tutto disposto su quasi due chilometri di scaffalature. A cui vanno aggiunti 5000 strumenti scientifici originali. È quanto può offrire l’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, un luogo di cultura davvero particolare: qui si concentrano una biblioteca di testi scientifici, la più importante in Italia e fra le migliori al mondo, attività di ricerca sulla documentazione e quella di alta formazione che le università, soprattutto quelle umanistiche, non garantiscono più. Un vero motore per produrre conoscenza nell’ambito della storia della scienza e delle tecniche. A più di 70 anni dalla sua nascita, martedì scorso l’Istituto ha presentato davanti al Capo dello Stato Azeglio Ciampi, insieme ai nuovi locali della biblioteca, un Sistema Informativo Multimediale, un prodotto che sfrutta le nuove tecnologie per offrire una visita unica al mondo nelle sale del Museo. Ne abbiamo parlato con il direttore dell’Istituto, Paolo Galluzzi.

Professor Galluzzi, in che modo le nuove tecnologie hanno rinnovato il Museo?

“In maniera sostanziale. Innanzi tutto perché è su queste che abbiamo puntato fin dai primi anni Novanta, mettendo in Rete il nostro sito nel 1994, il primo spazio Web di un museo in Italia. E poi creando un laboratorio dove lavorano fianco a fianco ingegneri e storici dell’arte, che conta oggi 16 persone. Dalla collaborazione di questa struttura con alcuni ricercatori dell’Università di Bologna è nato il Sistema Informativo Multimediale che abbiamo presentato in questi giorni: un museo virtuale che ricolloca gli oggetti nei loro contesti storici, che spiega come essi rispondessero alle esigenze del tempo in cui sono stati creati grazie a simulazioni in 3D, immagini esplorabili, dizionari consultabili e schermi al plasma per sostituire i classici pannelli espositivi”.

In pratica, come sarà possibile accedere a questo tipo di visita?

“Per ora abbiamo messo una prima versione della visita integrata sul nostro sito: si tratta solo di due sale, ma prevediamo tra poche settimane di metterle in Rete tutte e 21. Quello che si può vedere in Internet è ovviamente una versione “leggera” del programma che i visitatori troveranno nella sua piena potenzialità al Museo. Qui saranno muniti di cuffie e di un puntatore a raggi infrarossi e grazie all’infrastruttura saranno guidati da una segnaletica dinamica di sala in sala, dove troveranno gli schermi con cui interagire grazie al puntatore mentre ascolteranno le spiegazioni relative al percorso. Il tutto in più lingue e a livelli di approfondimento diversi, senza invadere lo spazio espositivo. Un sistema unico al mondo. La parte dei contenuti è già stata ultimata, aspettiamo l’infrastruttura che da sola è costata più di un milione di euro. Ma per la fine dell’anno contiamo di poter iniziare con le prime sale”.

Conoscere la storia aiuta a comprendere il ruolo della scienza nella società?

“La ricostruzione storica può dare un contributo fondamentale a far capire che la scienza non è diversa dall’arte o dalla letteratura, che la produzione scientifica risponde alla stesse esigenze di quella artistica: fantasia, curiosità, giochi di potere e sociali. Guardando il patrimonio storico di oggetti e documenti, scopriamo che la scienza è una configurazione ad assetto variabile, che le funzioni matematiche o le formule fisiche o chimiche che studiamo oggi non sono sempre esistite, ma che sono state costruite dall’essere umano. La scienza quindi, in quanto prodotto umano, è emotiva. Oggi invece la produzione scientifica è vista in maniera utilitaristica: le scoperte sono guardate con interesse soltanto se riguardano la salute oppure l’energia. Questo fa dello scienziato una figura fuori dalla società a cui le persone guardano con diffidenza”.

Il museo potrebbe essere il luogo dove questa frattura può ricomporsi?

“E’ un sogno, ma ci stiamo lavorando. Vogliamo far capire al pubblico che il cannocchiale appartenuto a Galileo, uno dei due che conserviamo presso il nostro Museo, è più importante di alcuni dipinti, e merita quindi le stesse attenzioni e la medesima ammirazione di un’opera d’arte. Si tratta di oggetti che hanno cambiato la nostra percezione del mondo”.

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