Il tribunale di Tripoli ha emesso la sua sentenza: condanna di morte per le cinque infermiere bulgare e il medico palestinese accusati di aver infettato con il virus dell’Aids 426 bambini ricoverati all’ospedale di Bengasi, di cui 42 morti. In carcere dal febbraio 1999, i sei erano stati condannati a morte già in prima istanza, ma la Corte suprema aveva annullato il verdetto. Il secondo processo è iniziato lo scorso 11 maggio e doveva concludersi già il 31 ottobre ma il tribunale di Tripoli ha rimandato fino a oggi la lettura del verdetto.
La vicenda dei sei operatori sanitari ha sollevato critiche sia di natura politica sia scientifica. Sul primo fronte l’ultimo appello per l’assoluzione in ordine di tempo risale al 14 novembre scorso, quando il ministro degli esteri tedesco Frank-Walter Steinmeier aveva posto la questione al collega libico Abdel Rahman Chalgam. L’Unione Europea ha più volte sollecitato la liberazione degli imputati e il Consiglio d’Europa ha denunciato “la negazione del diritto alla difesa”.
Dal punto di vista scientifico nel corso degli anni sono stati presentati diversi studi, l’ultimo poche settimane fa, che hanno dimostrato come il virus fosse presente nell’ospedale già prima che gli operatori stranieri arrivassero a prestare il proprio lavoro in Libia nel 1998. Unanime il parere dei più autorevoli esperti internazionali – da Luc Montagnier a Vittorio Colizzi, passando per tutti quelli che hanno sottoscritto gli appelli pubblicati da Science, Lancet e Nature: la contaminazione è stata causata dalle pessime, catastrofiche condizioni igieniche e sanitarie presenti nell’ospedale. (l.g.)
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