Abbiamo scoperto la seconda galassia priva di materia oscura

materia oscura

Appena un anno fa era stata osservata la prima galassia senza materia oscura, chiamata Df2. Ora ne abbiamo un’altra, la NGC 1052-DF4 (detta Df4) a conferma che la galassia Df2 non era un caso isolato né, probabilmente, un errore. Queste scoperte forniscono nuovi importanti elementi per comprendere il meccanismo di formazione delle galassie e per svelare uno dei misteri più famosi della cosmologia: la materia oscura. La ricerca, condotta dal team di Pieter van Dokkum dell’Università di Yale, è stata pubblicata su The Astrophysical Journal Letters.

La sfuggente materia oscura

Ad oggi, non abbiamo strumenti in grado di misurarla. Non interagisce con la luce, eppure tutto ci suggerisce che la materia oscura sia un po’ ovunque. Si stima che componga l’85% della massa dell’Universo e che svolga un ruolo fondamentale nel processo di formazione delle galassie. Ad esempio, se non ci fosse la materia oscura non sapremmo spiegarci perché alcune galassie abbiano le loro forme peculiari, come quelle a spirale, né riusciremmo a giustificare la loro velocità di rotazione. La cosmologia moderna ha confermato che esiste, anche se ancora non riusciamo a vederla. In alcune galassie sembra esserci più materia oscura che materia convenzionale e prima della scoperta di Df2 (il nome completo è NGC 1052-DF2) si pensava che la sua presenza fosse un requisito fondamentale per l’esistenza stessa di una galassia.

Galassie senza materia oscura

Ecco perché, un anno fa, la scoperta di Df2 è stata accolta con sorpresa e qualche scetticismo. Eppure, oggi abbiamo anche Df4, a conferma del fatto che le galassie senza materia oscura esistono. Sia Df2 che Df4 sono galassie ultra-diffuse, cioè agglomerati di stelle molto estesi e difficili da osservare. Hanno la dimensione della Via Lattea, ma un numero di stelle che può essere anche mille volte inferiore. Queste formazioni si trovano a circa 60 milioni di anni luce dalla Terra e si ipotizza siano associate con la galassia ellittica NGC 1052, nella costellazione della Balena (Cetus in latino).

Com’è stato possibile escludere la presenza di materia oscura al loro interno dato che non riusciamo a misurarla direttamente? La risposta sono le misure indirette. I ricercatori hanno sfruttato la potenza dei Telescopi Keck, costruiti alle Isole Hawaii e situati a più di quattromila metri di quota. In particolare, è stato usato lo Spettrometro a bassa risoluzione (Lris) per tracciare il moto orbitale di alcuni ammassi globulari (o cluster) all’interno delle galassie. La velocità di questi ammassi era consistente con la massa convenzionale effettivamente osservata. In altre parole, la massa osservabile giustificava pienamente la velocità dei cluster, senza il bisogno di ricorrere alla materia oscura.

Un puzzle da risolvere

Naturalmente, ci sono teorie alternative a quella della materia oscura. Ad esempio, quella di modificare la relatività generale di Einstein con una teoria della gravitazione più complessa, che però, dicono i ricercatori, renderebbero la spiegazione dell’esistenza di galassie come Df2 e Df4 ancora più complicata.

La squadra di van Dokkum ha condotto ulteriori ricerche per confermare i risultati già ottenuti con Df2. Usando un altro strumento, il Keck Cosmic Web Imager (Kcwi), gli astronomi hanno tracciato l’orbita dieci cluster stellari, scoprendo che la loro velocità era sempre consistente con l’ipotesi di assenza di materia oscura. Assenza che è paradossalmente una conferma: la prova è che materia oscura e materia normale possono esistere separatamente.

Tuttavia, rimangono ancora da chiarire alcuni aspetti fondamentali. Queste galassie erano senza materia oscura sin dal principio o l’hanno persa in qualche modo? Il loro il meccanismo di formazione rimane tuttora irrisolto. Tuttavia, van Dokkum e colleghi non si sono persi d’animo, anzi. “La scoperta di questa seconda galassia è stata emozionante quanto quella di Df2”, ha dichiarato van Dokkum, “questo significa che le chances di scoprire altre galassie del genere è più alta di quel che credevamo. Speriamo che questa scoperta possa incoraggiare altri astronomi a lavorare alla soluzione di quest’affascinante puzzle”. 

Riferimenti: The Astrophysical Journal Letters

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