Pagare l’acqua? La questione, che pure è stata posta in alcuni paesi nordafricani e dell’America latina, ha sempre suscitato un vespaio di polemiche e aspre sollevazioni popolari (come la “guerra dell’acqua” in Bolivia nel 2005), perché intacca quello che viene quasi universalmente considerato un diritto: l’accesso alla risorsa più preziosa. Eppure anche quest’ultimo tabù sembra destinato a cadere. E proprio in quel continente in cui la disponibilità delle risorse idriche crea le maggiori disuguaglianze. A sollevare il delicato tema è l’African Economic Outlook 2007, la pubblicazione dell’Organizzazione per lo sviluppo e la cooperazione economica (Ocse) e dell’African Development Bank che verrà presentata a Roma il 1 giugno.
Vista attraverso la lente dell’Aeo, infatti, l’Africa sembra avere sempre più sete. E l’obiettivo del millennio di dimezzare entro il 2015 il numero di persone che non hanno acqua potabile e misure sanitarie adeguate sembra un miraggio lontanissimo. È vero, 10 milioni di individui dal 1990 al 2004 nell’Africa sub-sahariana hanno ottenuto l’accesso all’acqua. Ma la crescita vertiginosa della popolazione ha fatto sì che nello stesso periodo aumentasse di circa 60 milioni il numero di coloro ancora privi dell’”oro blu”. Situazione anche più drammatica per i servizi sanitari: secondo i Millenium Goals, entro il 2015 dovrebbero accedervi 35 milioni di persone in più ogni anno (attualmente sono soltanto 7 milioni). E anche se tale obiettivo fosse raggiunto, comunque resterebbero tagliati fuori dall’accesso all’acqua e alle strutture rispettivamente 234 e 317 milioni di persone. Cosa fare allora? Secondo l’Ocse è necessaria una politica di sussidi più mirata, più fondi per le infrastrutture e una razionalizzazione della domanda di acqua attraverso l’imposizione di prezzi.
Secondo i dati emersi dall’Aeo, infatti, il bilancio negativo africano non è questione di mancanza di risorse. L’acqua c’è ma è distribuita in modo diseguale. Sebbene la situazione dell’Africa sub-sahariana sia drammatica, il livello di accesso alla risorsa nei paesi del Maghreb è il più alto tra i paesi in via di sviluppo (91 per cento della popolazione), come anche quello alle strutture sanitarie: la copertura sul territorio è cresciuta di 12 punti percentuali tra il 1990 e il 2004 e ha raggiunto il 75 per cento. Sono un valido esempio Mauritius e Sudafrica, vicine all’accesso universale, l’Uganda, dove dal ‘90 al 2006 la percentuale di persone che hanno a disposizione servizi sanitari adeguati è triplicata passando dal 21 al 61 per cento, e la Tanzania, dove questi sono disponibili per il 90 per cento popolazione.
“Per quanto riguarda l’acqua, il vero problema è l’uso inefficiente, le strutture fatiscenti che fanno aumentare gli sprechi e le dispersioni, l’inquinamento e la mancanza di agevolazioni, tranne che nel Nord e nel Sudafrica”, dice Lucia Wegner, economista del centro di sviluppo Ocse. “La gestione dell’acqua, dall’estrazione alla distribuzione fino al trattamento, dovrebbe essere integrata e non frammentata tra diversi ministeri. Bisogna inoltre rinforzare la gestione locale, perché le municipalità conoscono meglio i bisogni delle popolazioni. E ancora applicare una diversa politica degli incentivi, sensibilizzare la gente contro gli sprechi e razionalizzare la domanda attraverso i prezzi”.
Dal rapporto emerge infatti un dato interessante: i paesi che hanno distribuito l’acqua gratis non hanno poi ottenuto un maggiore accesso, ma il contrario. “Regalare una risorsa così importante non sensibilizza certo a non sprecarla. Meglio imporre un prezzo, anche minimo. Molti paesi hanno adottato tariffe a blocco, a seconda di quanta se ne consuma”, va avanti Wegner. “Anche i sussidi vanno ripensati. Più che sul prezzo dovrebbero esserci quelli per la connessione all’acqua.
Fornire un aiuto per pagare la bolletta presuppone che chi lo riceva abbia già accesso a questa risorsa. Il vero problema, invece, è quello di chi vive nelle aree rurali e marginali, che non può connettersi alle tubature o anche se lo fa attinge poca acqua a causa delle dispersioni dovute alle infrastrutture vecchie”. Per questo, si legge nel rapporto, i governi donatori devono mantenere gli impegni presi in materia di aiuti allo sviluppo e tornare, dopo anni di finanziamenti a pioggia per la salute e l’educazione, a investire un po’ anche nelle infrastrutture africane.
L’annata 2006, comunque, non è tutta da buttare per il continente nero. Buoni i passi avanti verso la democrazia, con 10 paesi che hanno avuto elezioni libere per la prima volta, per un totale di 59 milioni di votanti. E buona anche la crescita economica che ha fatto segnare un +5,5 per cento, confermando le tendenze positive degli ultimi quattro anni. Anche per il 2007-2008 la crescita dovrebbe mantenersi intorno al 5,7-6 per cento. “Il miglioramento si deve a vari fattori”, continua Wegner. “Uno di essi è l’andamento favorevole dei prezzi delle materie prime, soprattutto petrolio e minerali. L’Angola, che ne è esportatore, è cresciuto a un tasso superiore al 15 per cento e grazie ai prezzi di queste materie ha potuto avviare altri giacimenti e aumentare la produzione”. Di questa crescita non hanno beneficiato solo i paesi esportatori di petrolio. Negli ultimi 5-6 anni, infatti, anche gli importatori hanno ottenuto un miglioramento del deficit pubblico e un contenimento dell’inflazione grazie all’esportazione di derrate agricole e alimentari, che hanno fatto registrare buoni raccolti nel 2006. “La sfida per questi paesi ora”, conclude Wegner, “è cercare di capitalizzare i progressi fatti reinvestendo parte delle entrate nello sviluppo di infrastrutture”.