Aids, verso una terapia genica

La lotta all’Aids potrebbe spostarsi anche sul fronte della terapia genica: un gruppo di ricercatori statunitensi e australiani ha modificato cellule staminali del sangue (prelevate da persone affette dalla malattia) e vi ha trasferito una molecola in grado di inibire la replicazione del virus. Le cellule sono state poi impiantate nuovamente nei pazienti, dove hanno cominciato a differenziarsi in globuli bianchi “potenziati”.

Lo studio clinico è ora giunto alla fase II, quella, cioè, in cui si valuta la sicurezza della terapia. I risultati, pubblicati su Nature Medicine, mostrano una buona tollerabilità al trattamento e un aumento dei linfociti a due anni dall’inizio del trial: ovvero, un aumento delle difese immunitarie.

Si tratta dei primi primi studi clinici sulla possibilità di trattare i pazienti con Hiv con una terapia di questo tipo, utilizzata finora soltanto per poche malattie genetiche (Vedi Galileo). La sperimentazione, guidata da Ronald Mitsuyasu, Direttore del Center for Clinical Aids Research and Education (Care) presso l’Università della California di Los Angeles, è stata effettuata su 74 pazienti affetti da Aids, 38 trattati con la terapia genica e 36 con placebo.

I ricercatori hanno trasferito nelle staminali una molecola chiamata OZ1 che disattiva due proteine chiave per la replicazione del virus. Le prime analisi – effettuate a circa un anno dal trasferimento delle staminali modificate –  non avevano rivelato differenze tra le persone trattate e non trattate. Dopo due anni, però, i pazienti sottoposti a terapia genica hanno mostrato un aumento significativo delle cellule immunitarie CD4+ (i principali bersagli del virus) rispetto a quelli del gruppo di controllo. Questo indicherebbe che le cellule svolgono il compito per cui sono state modificate. Ma gli stessi ricercatori sono cauti: i risultati sono preliminari e dovranno essere convalidati da altri studi. Intato si aspetta il resoconto della fase tre della sperimentazione in corso. (s.m.)

Riferimento: Nature Medicine (15 February 2009) | doi:10.1038/nm.1932;

LASCIA UN COMMENTO

Please enter your comment!
Please enter your name here