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Alla ricerca della sonda perduta

Polar Lander? Stando alle voci che circolano nell’ambiente, si sarebbe schiantato al suolo”. Certo, la speranza è l’ultima a morire, ma Stelio Montebuglioli, responsabile dell’Istituto di Radioastronomia di Medicina (http://www.ira.bo.cnr.it/ira.html), vicino Bologna, non crede molto alla possibilità di recuperare un contatto radio con la sonda. Di tutt’altro avviso, almeno a parole, i ricercatori del Jet Propulsion Laboratory della Nasa, responsabili della missione del Mars Polar Lander (Mpl – http://mars.jpl.nasa.gov/msp98/lander/index.html). Partito alla volta di Marte il 3 gennaio 1999, il Mpl è scomparso. Dal 3 dicembre 1999, data in cui la piccola sonda terrestre sarebbe dovuta atterrare al Polo Sud del pianeta rosso, il Jpl non riceve più segnali. Gli americani non si sono arresi, e per scovare la navicella hanno chiesto aiuto a italiani, olandesi e inglesi.

Professor Montebugnoli, riuscirà a trovare la sonda e salvare gli americani da un’ennesima figuraccia, dopo quello che è accaduto con il Mars Climate Orbiter, la sonda della Nasa che avrebbe dovuto orbitare intorno al pianeta rosso e che invece è stata persa per un errore di conversione dal sistema metrico decimale a quello anglosassone?

“A mio parere le probabilità sono scarse, comunque vale la pena provare. Nei prossimi giorni dovrebbe essere coinvolto anche l’osservatorio di Arecibo, in Porto Rico, come ultima carta da giocare. La verità è che questi ultimi mesi di osservazione gli americani non hanno visto niente. I deboli segnali captati in questi giorni sarebbero dovuti a interferenze terrestri. Noi italiani saremmo d’aiuto nel caso di segnale debole per la maggiore sensibilità del nostro strumento, perché ha un’alta risoluzione. Potremmo avere qualche chance in più degli altri solo se l’antenna della sonda trasmette da un punto non previsto. Il che presuppone che il Mpl sia atterrato integro dove non doveva, per esempio un cratere, o un canyon”.

Questa richiesta di aiuto da parte della Nasa è un riconoscimento alle capacità tecnologiche dell’Europa e dell’Italia?

“Noi già collaboriamo con la Nasa in altri ambiti e l’Istituto di Radioastronomia di Medicina fa parte di un network internazionale di radiotelescopi, sette o otto in tutto al mondo. Quindi c’è un riconoscimento delle nostre capacità a livello internazionale. Ma indipendentemente da ciò, la vicenda del Mars Polar Lander dimostra che quando le cose diventano difficili c’è bisogno di collaborazione. Questo deve essere il modo di ragionare. Non basta essere leader dell’hi-tech quando accade l’imponderabile. L’impegno della Nasa nella ricerca del Mpl è utile per cercare di capire dove hanno sbagliato e non ripetere gli errori in futuro. Se noi riuscissimo a trovare il Mpl, sarebbe sicuramente un gran successo a livello nazionale e internazionale. E confermerebbe la bontà della nostra ricerca scientifica”.

Con quale strumento cercherete di tirare fuori dai pasticci la Nasa?

“Il radiotelescopio che utilizzeremo è anche conosciuto come la Croce del Nord, una grande T con bracci che misurano rispettivamente 570 e 600 metri circa. Costituisce una delle più grandi aree dell’emisfero nord del Pianeta per la raccolta di segnali radio provenienti dall’universo. Nato negli anni Sessanta, questo radiotelescopio è stato continuamente aggiornato ed è ancora uno strumento all’avanguardia”.

Perché è stato scelto per dare la caccia al Mars Polar Lander?

“La Croce del Nord è una delle poche antenne al mondo capace di operare a una frequenza molto bassa: 408 MHz. Per captare il segnale della sonda, invece di operare a 408 ci siamo spostati a 401 Mhz, frequenza che caratterizza la banda portante delle comunicazioni tra il Mpl e la Terra. In realtà cercheremo vicino ai 401 MHZ, in un intervallo di frequenze largo 250 KHz. Questo perché la navicella usa un sistema di modulazione dei segnali radio, denominato Fsk. L’Fsk permette il trasporto delle informazioni nelle bande laterali vicino a quella portante. Una volta captato il segnale, questo passerà dall’antenna al ricevitore e quindi all’analizzatore. Collegheremo l’analizzatore solo al ramo est/ovest della croce, per una superficie sensibile di 20.000 metri quadrati. Lo spettro ottenuto verrà esaminato con analizzatori costruiti in Italia, e già utilizzati per studiare l’impatto della cometa Shoemaker – Levy con Giove. In quella occasione lo strumento ha rivelato la presenza di molecole di acqua durante l’impatto. Un dato scientifico rilevante che però i mass media hanno sottovalutato”.

Che vantaggi ha il radiotelescopio italiano rispetto a quello olandese di Westerbok e a quello inglese di Jodrell Bank che aiutano la Nasa nella ricerca?

“La nostra antenna ha qualche chance in più per due fattori: è molto più grande la superficie sensibile. Come dicevo, noi disponiamo di 20.000 metri quadrati contro i 7.000 degli olandesi e i 3.000 dei britannici. Questa maggiore sensibilità aumenta le probabilità di captare il segnale. Inoltre il nostro analizzatore di dati lavora in tempo reale. I dati fluiscono dalla navicella e vengono immediatamente elaborati. Senza correre il rischio di perdite di informazioni. Gli olandesi e gli inglesi elaborano i dati in modo off-line. Prima registrano le osservazioni poi le passano al computer e tirano fuori i dati. A quanto ne so, per elaborare 30 minuti di osservazione hanno bisogno di 30 ore”.

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