All’attacco dei superbatteri

Dal 1928, anno in cui Alexander Fleming isolò il primo antibiotico – la penicillina – questi medicinali hanno salvato milioni di vite, tanto che molti indicano questa come la scoperta medica del secolo. Allo stesso tempo però le terapie antibiotiche hanno subito molte sconfitte. La capacità dei batteri di resistere a questi farmaci, infatti, si sviluppò subito dopo la scoperta del biologo inglese e già nel 1946 alcuni stafilococchi risultarono resistenti all’azione della penicillina. Da allora il problema si è riproposto molte volte e ha coinvolto specialisti di diverse discipline: microbiologia, farmacologia, clinica e economia ospedaliera.

Il punto della situazione sul fenomeno dell’antibioticoresistenza in Italia è stato fatto il 10 e l’11 dicembre scorsi a Verona, durante il convegno “The role of antimicrobial resistance surveillance for effective antibiotic policies” organizzato dall’Apua (Alliance for Prudent Use of Antibiotics), un’associazione internazionale che divulga e sostiene la ricerca sulla resistenza agli antibiotici e sull’uso appropriato di questi farmaci. Durante la conferenza sono stati analizzati i dati raccolti negli ultimi sei anni da trenta laboratori di microbiologia aderenti al Gruppo italiano di monitoraggio dell’antibioticoresistenza (Isgar). Riconosciuto dall’Organizzazione mondiale per la sanità, questo gruppo pubblica annualmente un rapporto sulla resistenza agli antibiotici dei principali batteri responsabili di infezioni ospedaliere e non.

Per quanto riguarda i primi, i dati dell’Isgar confermano la presenza nel nostro paese di alte percentuali del cosiddetto Staphylococcus aureus meticillino-resistente, il batterio che non solo si oppone all’azione di tutti gli antibiotici della famiglia dei beta-lattamici (che include molti dei composti più conosciuti e diffusi come penicilline e cefalosporine), ma anche a molti composti appartenenti a famiglie diverse. Un altro batterio ospedaliero è la Pseudomonas aeruginosa, tipicamente multiresistente. “Lo scorso anno, proprio a Verona”, ha dichiarato Giuseppe Cornaglia, microbiologo all’Università di Verona e responsabile per l’Italia dell’Apua, “sono stati scoperti i primi esempi italiani del meccanismo molecolare responsabile della produzione di enzimi definiti “metallo-beta-lattamasi” che mettono fuori uso anche le ultime generazioni di antibiotici beta-lattamici”. Questo stesso meccanismo è posseduto da un altro batterio emergente, la Stenotrophomonas maltophilia e anche per questo ceppo batterico la ricerca medica non ha ancora trovato una contromisura.

Per quanto riguarda i batteri responsabili delle infezioni extra-ospedaliere, invece, l’Italia vanta ancora basse resistenze alla penicillina degli Streptococcus pneumoniae, la principale causa della polmonite, con un complessivo 10 per cento di batteri resistenti contro il 50 e oltre registrato in altri paesi europei (Francia e Spagna). “Questo stesso batterio però”, continua Cornaglia, “sta diventando particolarmente resistente a un’altra popolare famiglia di antibiotici e cioè i macrolidi (rappresentati per esempio dell’eritromicina), con percentuali di resistenza che ormai si avviano a superare il 30 per cento”. Sempre per ciò che riguarda i macrolidi, l’Italia è probabilmente il paese dove si registra la più alta resistenza nello Streptococcus pyogenes, principale responsabile di tonsilliti e faringiti batteriche (particolarmente nei bambini), con percentuali di resistenza che sono passate dall’1-2 per cento ad oltre il 40 nel corso degli anni ‘90, anche come conseguenza di un forte aumento nell’uso di questa categoria di antibiotici.

Ma che cos’è l’antibioticoresistenza e in che modo si può contrastare? Quando un antibiotico attacca una colonia batterica, i germi particolarmente sensibili al farmaco muoiono, ma quelli che presentano una certa resistenza già in origine sopravvivono. Se il farmaco in questione viene somministrato male, interrotto o usato troppo frequentemente, si rafforza proprio quel ceppo batterico resistente che potrà così accrescersi rendendo inutile la successiva somministrazione dell’antibiotico. Per combattere questo fenomeno gli esperti indicano due vie principali. Da una parte la ricerca farmacologica, dall’altra una corretta somministrazione degli antibiotici. Nel primo caso le case farmaceutiche sono impegnate in una lotta contro il tempo per mettere a punto dei superantibiotici. Come nel caso delle due nuove tipologie di antibiotici isolati da un team di ricercatori della Wayne State University del Michigan: uno in grado di autodistruggersi per evitare che i batteri possano sviluppare una resistenza, e l’altro capace di riprodursi per essere così metabolizzato appieno dall’organismo. Sul secondo fronte, invece, è opinione comune che una migliore somministrazione potrebbe aumentare considerevolmente l’efficacia degli antibiotici. Per questo si deve evitare di interrompere la cura anche quando i primi sintomi, di solito i più fastidiosi, sono scomparsi. Così come è molto dannosa l’autosomministrazione. In tutti e due i casi, infatti, si ottiene l’eliminazione solo dei ceppi batterici più deboli. Infine si deve evitare un errore tipico, soprattutto nei mesi invernali: assumere gli antibiotici quando si ha l’influenza. Questa patologia, infatti, è un’infezione virale e nessun antibiotico può contrastarla.

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