Alleanze alternative contro il cancro

Basta guardare poco oltre i confini italiani per capire perché in nessun altro paese civile possa scoppiare un caso Di Bella. Non solo per la solidità e l’organizzazione di molti sistemi sanitari del nord Europa, ma anche per la capacità di gran parte della classe medica di saper guardare oltre, di saper fiutare i cambiamenti sociali e prevenire l’esplosione delle mine vaganti. Un esempio in questo senso è costituito dalla realizzazione della Klinik fur Tumorbiologie di Friburgo, ideata da Gerhard A. Friedrich Nagel, presidente dalla società oncologica tedesca e docente di oncologia all’Università di Gottinga.

Nella clinica, sorta grazie al sostegno del governo e con la sponsorizzazione di sette case farmaceutiche svizzere e tedesche, ci sono reparti speciali dove accanto alle terapie convenzionali si adottano anche le cosiddette terapie “non convenzionali”. Il malato viene accolto con tutta la famiglia e ospitato in un appartamento che sembra più un albergo di lusso che un luogo di cura. Attorno c’è ben poco che ricordi l’ambiente ospedaliero: medici senza camice, colori allegri alle pareti, vetrine, musica di sottofondo. Le terapie che qui vengono sperimentate vanno dagli estratti di erbe ai linfociti attivati, dai vaccini con virus e batteri alle cure nutrizionali. “Ma attenzione, non esistono medicine alternative che curano il cancro. Le terapie non convenzionali possono tutt’al più aiutare il paziente a sentirsi meglio. Ma è proprio per questo che devono essere prese in seria considerazione”, precisa Nagel, intervenuto a una conferenza sul “Ruolo delle terapie non convenzionali nel trattamento del cancro”, nei giorni scorsi a Roma.

“La medicina accademica tratta il tumore con la chemioterapia, la chirurgia, la radioterapia. Studia come si sviluppa la patologia e come si cura. Ma ha quasi eliminato il paziente”, prosegue Nagel. “Noi medici parliamo sempre in termini di patogenesi, mai di salutogenesi. Eppure nel nostro organismo ci sono processi che si conservano sani, nonostante la patologia. L’organismo si autodifende in continuazione con gli anticorpi contro le infezioni, o con meccanismi di riparazione del Dna contro il danno genetico. Ciononostante, la medicina ha fatto finora poche ricerche nel campo dello sviluppo della salute”. E soltanto di recente la psiconeuroimmunoendocrinologia ha messo in luce lo stretto e complicato collegamento tra patologia e psiche, tra corpo e mente.

Ma è il paziente oggi il primo a rifiutare il tradizionale approccio organicistico. Vuole un ruolo più attivo. Vuole fare qualcosa per conservare il suo stato di salute. “I pazienti spesso percepiscono la cura come un attacco”, sostiene Nagel. “Sono stressati fisicamente e psicologicamente, perché la chemioterapia sopprime la loro immunità, manda veleni nell’organismo”. Desiderano perciò migliorare la loro risposta immunitaria e scacciare quei veleni. “Dobbiamo imparare a comprendere il mondo del paziente, altrimenti questo si rifugia in un altro, e sceglie la terapia alternativa, che invece gli offre strumenti per sconfiggere il suo ‘destino negativo’. Una garanzia che può essere molto pericolosa: alcuni terapeuti non convenzionali sostengono addirittura di poter guarire i malati di cancro. Affermazioni criminali e immorali – continua Nagel – e non suffragate da alcuna prova scientifica. Se il paziente vuole liberarsi dal tumore non trova nessuna alternativa alla terapia convenzionale, dobbiamo dirlo chiaramente”.

La proposta di Nagel è quindi quella di un’integrazione tra medicina tradizionale, che cura la malattia, e medicina non convenzionale, che aiuta a migliorare la salute del malato sul piano fisico e mentale. “Cerchiamo di capire cosa possiamo ottenere e offrire in ogni situazione. L’80 per cento dei pazienti che si rivolgono al nostro istituto chiede di essere trattato con l’omeopatia, o la medicina cinese, e via dicendo. Ma dopo un colloquio con loro, soltanto il 20 per cento continua a chiedere quel tipo di cura. In Germania il 90 per cento dei pazienti oncologici ricorre anche ad altre medicine. E questo perché noi medici non dedichiamo abbastanza tempo all’individuo-paziente. Nella nostra clinica il medico rappresenta la medicina tradizionale, ma abbiamo cercato di venire incontro ai malati con il maggior numero di possibilità terapeutiche, come la fitoterapia, la fisioterapia, la dieta, la medicina sociale, la psicoterapia. Nel nostro istituto usiamo, ad esempio, una pianta già utilizzata nella cura delle infezioni croniche, la carruba langustifolia, che stabilizza i meccanismi di difesa. Ma guai a dire che cura il cancro. E ancora: sarebbe certamente grave se pensassimo di curare il tumore con la musica, ma sappiamo che la musica aiuta la psiche. In Germania vivono 5 milioni di malati di cancro, e noi medici abbiamo il dovere di aiutare queste persone a convivere con il loro destino, con le loro paure e offrire loro la migliore qualità di vita possibile. Ed è qui, solo qui, che entrano in gioco le terapie non convenzionali”.

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