Amnesty: i diritti corrono sul web

Cinquant’anni in difesa dei diritti. Il compleanno di Amnesty International, che si celebrerà il 28 maggio prossimo, è l’occasione per fare il punto sulla situazione dei diritti umani nel mondo. Il rapporto annuale 2011, presentato ieri e pubblicato in Italia da Fandango Libri, racconta di cambiamenti storici nella lotta alle oppressioni, messi in moto dalle comunità più colpite dalle violazioni e resi possibili grazie anche all’uso delle nuove tecnologie e dei social media. Ma la repressione delle rivolte è sempre dietro l’angolo, e c’è ancora molta strada da fare per garantire le libertà e i diritti nel mondo.

Il segnale più forte è quello che viene dal Medio Oriente e dall’Africa del Nord. Il vento di libertà e giustizia partito dal basso offre un’opportunità senza precedenti per i diritti umani, mette in evidenza Amnesty, ma si tratta di un cambiamento che corre sul filo del rasoio. “La gente sfida la paura. Persone coraggiose, guidate soprattutto dai giovani, scendono in strada e prendono la parola nonostante le pallottole, le percosse, i gas lacrimogeni e i carri armati”, spiega Christine Weise, presidente della sezione italiana dell’organizzazione. “Questo coraggio, insieme alle nuove tecnologie che aiutano le attiviste e gli attivisti ad aggirare e denunciare la soppressione della libertà di parola e la violenta repressione delle proteste pacifiche, sta dicendo ai governi repressivi che i loro giorni sono contati”. I governi di Libia, Siria, Yemen e Bahrein hanno dimostrato però di voler restare al potere, a costo di soffocare nel sangue le proteste pacifiche, mentre è forte anche la battaglia per il controllo dell’informazione e i tentativi di limitare l’accesso ai mezzi di comunicazione e alle nuove tecnologie della rete, come avvenuto in Egitto e Tunisia. In questo clima, quindi, il sostegno alle rivolte e alla successiva ricostruzione degli stati sarà il banco di prova per tutta la comunità internazionale, dice Amnesty.

Ma veniamo ai dati. Il rapporto, che illustra la situazione dei diritti umani in 157 paesi e territori nel 2010, documenta restrizioni alla libertà di parola in 89 paesi (erano 96 nel 2009), casi di prigionieri di coscienza in almeno 48 paesi, torture e altri maltrattamenti in almeno 98 paesi (111 nel 2009) e riferisce di processi iniqui in almeno 54 paesi. In 23 paesi ci sono state esecuzioni capitali (18 nel 2009), in 67 paesi sono state emesse condanne a morte (56 nel 2009) e due terzi della popolazione mondiale non ha avuto possibilità di accesso alla giustizia a causa di sistemi giudiziari assenti, corrotti o discriminatori. Nel corso del 2010, inoltre, è peggiorata la situazione dei diritti umani in vari paesi, con ripercussioni sull’azione degli attivisti in Bielorussia, Kirghizistan e Ucraina; c’è stata la spirale di violenza in Nigeria e l’escalation della crisi causata dall’insurrezione armata dei maoisti nell’India centrale e nordorientale; e le crescenti minacce nei confronti dei popoli nativi delle Americhe. Non si possono dimenticare i conflitti che hanno provocato distruzione in Ciad, Colombia, Iraq, Israele e Territori Palestinesi Occupati, Repubblica Centrafricana, Repubblica Democratica del Congo, la regione nord caucasica della Russia, Somalia, Sri Lanka e Sudan, dove i civili sono stati spesso presi di mira da gruppi armati e forze governative. Amnesty documenta anche il peggioramento della situazione legale per le donne che scelgono d’indossare il velo integrale in Europa e l’aumentata propensione, sempre nel Vecchio Continente, a rinviare persone verso paesi dove rischiano la persecuzione.

E l’Italia? Secondo il rapporto, i richiedenti asilo e i migranti non hanno potuto accedere a procedure efficaci per ottenere protezione internazionale. I diritti dei rom hanno continuato a essere violati e gli sgomberi forzati hanno contribuito a spingere sempre più nella povertà e nell’emarginazione le persone colpite. I commenti dispregiativi e discriminatori di alcuni politici hanno alimentato un clima di crescente intolleranza nei confronti di rom, migranti e persone lesbiche, gay, bisessuali e transgender. Infine, l’Italia ha rifiutato di introdurre il reato di tortura nella legislazione nazionale e Amnesty è preoccupata circa le segnalazioni di maltrattamenti da parte delle forze di polizia o di sicurezza e l’accuratezza delle indagini sui decessi in carcere e sui presunti maltrattamenti.

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