Anticrimine Dna

Si può rinunciare a un po’ di privacy in nome della lotta alla criminalità. La pensa così quasi l’80 per cento degli italiani, che si dichiara favorevole all’utilizzo degli esami del Dna per identificare i sospetti di reato e considera giusto mettere a disposizione delle forze dell’ordine un archivio genetico. È quanto emerge dall’indagine “Dati genetici, sicurezza e opinione pubblica in Italia”, presentata oggi a Roma e promossa dal Comitato nazionale per la biosicurezza e le biotecnologie della presidenza del Consiglio dei ministri. La ricerca, condotta da Observa-Science in Society su un campione rappresentativo di 1016 adulti, mostra che la maggioranza dei cittadini, circa il 90 per cento, sarebbe disposta a rendere accessibili le proprie informazioni personali in vista di una maggior sicurezza. E il 61,7 lo farebbe addirittura su qualsiasi tipo di informazione relativa alla propria persona. La paura del terrorismo, della violenza e dell’immigrazione spinge sei italiani su 10 a dire sì al prelievo di saliva senza distinzione di crimine, mentre meno di uno tre li limiterebbe a reati come violenza sessuale, omicidio o terrorismo. Alta anche la percentuale (il 60 per cento) di chi approverebbe la creazione di una banca dei dati genetici dove “schedare”, a scopo identificativo, l’intera popolazione. Chi è contrario a questo strumento teme soprattutto la violazione della privacy (il 59,2 per cento) o la discriminazione in ambito lavorativo (il 18 per cento). Ma non sempre la disponibilità all’utilizzo degli esami del Dna si accompagna a una piena comprensione della loro natura e delle loro potenzialità. Il 30 per cento degli intervistati è convinto che il Dna si ricavi dalle impronte digitali, e il 28,6 che possa rivelare l’inclinazione alla violenza. Dall’indagine, infine, emerge che i sostenitori dei prelievi genetici e della banca dati del Dna sono soprattutto i più adulti (sopra i 44 anni di età) e i meno istruiti. I giovani e i laureati si mostrano invece più prudenti. (da.c.)

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