Apprendere, questo è il problema

Un robot diserbante, in grado di distinguere attraverso l’esame di alcuni parametri (colore, dimensione e simmetria delle foglie) le erbe “cattive” da estirpare da quelle buone. Quello realizzato all’Istituto danese di scienze agrarie di Tjele è solo uno degli esempi di applicazione delle reti neurali. Nonostante i risultati siano soddisfacenti, l’affidabilità non è ancora totale: il riconoscimento, la capacità di distinguere, di differenziare, infatti, è ancora oggi uno dei limiti più significativi di queste complesse e ingegnose strutture ispirate al funzionamento dei sistemi biologici. Dei limiti e delle possibilità di sviluppo delle reti neurali si è discusso a Erice nel corso dei lavori della Scuola internazionale di Reti Neurali del Centro di cultura scientifica “Ettore Majorana”. “Le neuroscienze”, spiega Maria Marinaro, ordinario di Fisica teorica nell’Università di Salerno e direttore del corso di Erice, “sono in continua evoluzione: negli ultimi anni, è stato scoperto che le sinapsi (giunzioni fra due cellule nervose) non sono semplici interruttori bensì strutture complesse in continua modificazione”. È stata questa la scoperta che ha consentito di realizzare reti neurali che simulano il comportamento del cervello umano. Oggi le reti neurali artificiali trovano già applicazione nei monitoraggi clinico-medici e ambientali e nei settori di controllo e sicurezza. “Ma i punti deboli della teoria delle reti attuali sono due”, dice Marinaro: “comprendere i meccanismi di funzionamento del cervello biologico, e modellare matematicamente questi meccanismi per costruire macchine adatte a risolvere problemi complessi quali il riconoscimento di immagini, il coordinamento delle azioni motorie che è di forte interesse nella robotica, il riconoscimento della voce”.Il problema dell’apprendimento, rimane, dunque, quello più corposo e di non semplice soluzione. “L’apprendimento biologico”, spiega ancora la ricercatrice, “avviene tramite un processo di modifica dello stato delle sinapsi. Tuttavia i meccanismi che portano a questa modifica non sono ancora del tutto noti. A Erice sono stati discussi i diversi meccanismi molecolari che possono dar luogo a tali modifiche e proposti modelli basati sulla correlazione tra tempi di emissione e ricezione dei segnali da parte dei neuroni. Dalla discussione si è delineato un nuovo approccio di ricerca che suggerisce l’uso della teoria del caos per modellare funzioni di apprendimento capaci di risolvere il problema del riconoscimento di figure sovrapposte”. Riconoscere figure sovrapposte è un compito abbastanza complesso dal punto di vista percettivo. Del resto non è un caso se nel cervello umano sono ben 140 i geni – divisi per gruppi – implicati, a vario titolo, nei processi di apprendimento e memoria. La teoria del caos, tuttavia, oggi sembra essere la strada più promettente per cercare di emulare la funzionalità della nostra materia grigia: Agnessa Babloyantz dell’Università di Libre (Bruxelles), nell’ultimo decennio ha eseguito elettroencefalogrammi del cervello e li ha interpretati con tecniche derivate dalla teoria del caos. Dimostrando così che nei soggetti sani si riscontra un’alta dimensione frattale, con ritmi irregolari e caotici; gli Eeg eseguiti su soggetti durante una crisi epilettica hanno invece evidenziato che i tracciati hanno una bassa dimensione, sono più semplici. Ne consegue che il cervello per funzionare a pieno regime si comporta con irregolarità. Una nuova, affascinante, sfida è quindi partita.

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