Biotech alle porte di Roma

Sorge a 30 chilometri da Roma il Campus internazionale di ricerca biomedica e biologica “Buzzati Traverso” del Cnr, inaugurato mercoledì scorso. Sui 158 mila metri quadrati, di cui 17 mila già coperti, lavorano già 120 ricercatori. Che diventeranno 300 quando il Campus entrerà a pieno regime. In questo centro di ricerca avanzata operano tre gruppi dell’Embl (European Molecular Biology Laboratory), il più prestigioso istituto europeo per la biologia molecolare con sede centrale ad Heidelberg, Germania, l’Istituto di Biologia Cellulare ed alcune unità dell’Istituto di Medicina Sperimentale del Cnr.

Il Campus di Monterotondo ospita anche l’unico Archivio europeo dei topi mutanti (Emma), una sorta di magazzino in cui sono raccolti e catalogati embrioni e gameti di topi geneticamente modificati congelati a 196 gradi sotto lo zero. Una banca di geni modificati importati da altre istituzioni scientifiche, che serviranno a produrre, su richiesta della comunità scientifica, lotti di “topi knock out”, portatori di malformazioni o patologie. Questi topi faranno da modello per lo studio di malattie ereditarie e dei tumori. Ma nell’arco di pochi anni, i ceppi mutanti potrebbero aiutarci a capire meglio malattie come l’anemia, ematopoiesi, l’autoimmunità, l’immunodeficienza, le malattie cardiovascolari e così via.

Al Campus di Monterotondo arriverà presto anche il “Jackson Laboratory”, il principale organismo mondiale nel campo della biologia e della genetica dei piccoli mammiferi. E ha già iniziato a lavorare il Centro internazionale per l’ingegneria genetica e la biotecnologia (Icgeb), organismo dell’Onu con sede centrale a Trieste, diretto da Arturo Falaschi. A lui Galileo ha rivolto alcune domande sulle più scottanti questioni sollevate da questo tipo di ricerche.

Professor Falaschi, con il nuovo Campus di Monterotondo l’Italia entra di diritto nello spazio comune della ricerca biologica europea. Ma nel nostro paese restano numerose posizioni politiche di veto, come quelle espresse dal decreto Bindi sulla clonazione e l’impugnazione da parte del governo italiano della Direttiva europea sui brevetti biotecnologici. Crede che tali iniziative possano mettere a rischio questa mobilitazione di risorse umane e finanziarie?

“Penso che il decreto sulla clonazione e l’impugnazione della direttiva europea siano due mosse molto negative. Nel primo caso, sono d’accordo sul divieto di sperimentazione sull’uomo. Ma impedire le ricerche sugli animali da laboratorio è una grave limitazione ad un settore che si sta rivelando molto proficuo dal punto di vista scientifico. Nel secondo caso, l’atteggiamento del governo italiano mostra una posizione decisamente retriva, perché la direttiva è frutto di un lavoro di valutazione molto complesso e ragionato durato quasi dieci anni all’interno della Commissione del Parlamento europeo. Un lavoro che ha prodotto una direttiva molto equilibrata e sensibile anche alle problematiche di tipo etico e ambientale. Opporsi a questo vuol dire mettere in ulteriore difficoltà la ricerca tecnologica in Italia, che già non naviga in ottime acque”.

Ma che cosa dice a chi teme che le biotecnologie servano a produrre mostri?

“Lungi dal produrre chimere, le ricerche che si fanno a Monterotondo tendono a vedere cosa succede quando si inattivano dei geni. Queste mutazioni avvengono già naturalmente, anche se nessuno se ne accorge, durante esposizioni a radiazioni o a sostanze mutagene. In laboratorio, possiamo indirizzare un evento inattivante su un singolo gene per studiarne le conseguenze sull’intero organismo. In pratica ripetiamo ciò che avviene in natura in maniera organizzata e mirata, per acquisire informazioni importantissime sulla biologia degli animali superiori e capire come insorgono certe malattie, da quelle più comuni a quelle multifattoriali, più complesse”.

Crede che la mobilitazione della classe politica, e di parte dell’opinione pubblica, possa essere affrontata con un’adeguata informazione da parte di chi lavora in questo settore?

“Sono pienamente convinto che chi opera in questo ambito debba dare un’informazione aperta e chiara su quello che fa, e a quale scopo. Sotto questo aspetto, forse i ricercatori sono stati carenti. Ma anche la classe politica è in difetto, perché non ha chiesto apertamente delle informazioni agli esperti del settore. Se lo avesse fatto, non avrebbe preso posizioni unilaterali e poco ragionate come quelle che poi sono emerse”.

Considerando la specificità delle ricerche che si faranno al Campus biomedico di Monterotondo, pensa che queste potranno, in futuro, portare dei benefici per curare malattie tipiche di alcuni paesi in via di sviluppo?

“Direi di sì. Le ricerche del Campus saranno rivolte essenzialmente a beneficio della salute umana, e potranno dare informazioni molto importanti su quelle patologie che, pur essendo di interesse generale, colpiscono anche i paesi in via di sviluppo: parlo ad esempio dei tumori del collo dell’utero, che in Africa costituiscono la prima causa di morte tra le donne. Ma i nostri interessi saranno rivolti anche a quelle malattie tipiche del mondo industrializzato, come l’ipertensione arteriosa, che però colpiscono in modo importante anche la popolazione africana. Insomma, saranno conoscenze importanti per tutti, ma risulteranno fondamentali soprattutto per il Sud del mondo”.

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