Come percepiscono lo spazio i non vedenti

    Spesso diamo per scontato che i non vedenti abbiano un udito superiore alla norma. Se questo è vero per alcune caratteristiche, come la percezione di singoli suoni, in altri campi le capacità uditive dei ciechi possono in realtà essere inferiori a quelle delle persone vedenti. Uno studio dell’Istituto Italiano di Tecnologia (Iit) ha scoperto ad esempio che la vista è fondamentale per sviluppare correttamente la capacità di elaborare mappe spaziali dell’ambiente, e per questo, chi soffre di cecità congenita spesso non è in grado di capire la relazione spaziale tra suoni provenienti da punti diversi. I loro risultati, pubblicati sulla rivista Brain, aprono ora la strada allo sviluppo percorsi riabilitativi mirati, per migliorare la percezione spaziale dei non vedenti.

    Normalmente, il nostro cervello crea costantemente delle rappresentazioni dell’ambiente, grazie alla capacità di discriminare la provenienza dei suoni nello spazio che ci circonda. Le mappe spaziali così realizzate vengono poi utilizzate per orientare correttamente il corpo in relazione allo spazio, in modo da coordinare e realizzare correttamente i nostri movimenti. Poiché si tratta di una capacità che ha origine durante l’infanzia, quando il cervello, ancora estremamente plastico, impara a calibrare le informazioni provenienti da tutti i sensi, i ricercatori dell’Iit hanno deciso di verificare se l’assenza della vista potesse comprometterne il corretto sviluppo.

    “Nel condurre la nostra ricerca abbiamo ricreato un ambiente naturale, dove le persone non vedenti potevano ascoltare suoni di diverso tipo e provenienti da diverse fonti”, spiega Monica Gori, prima autrice dello studio. “Abbiamo scoperto che è proprio la comprensione della relazione spaziale tra i suoni, e non il singolo suono, a rappresentare un punto critico per la percezione spaziale e l’orientamento delle persone non vedenti”.

    I ricercatori hanno misurato le percezioni spaziali di persone adulte con cecità congenita, chiedendo loro di valutare la distanza reciproca di tre suoni emessi in sequenza e provenienti da diverse posizioni dello spazio. Le misure effettuate hanno mostrato un forte deficit di percezione spaziale, evidenziando l’incapacità del cervello di costruire una mappa dell’ambiente. I risultati sono stati quindi verificati con un gruppo di controllo costituito da persone vedenti che hanno eseguito il compito bendate.

    “L’incapacità del cervello di costruire una mappa spaziale influisce negativamente sulla capacità di orientamento delle persone con disabilità visiva, limitando la loro mobilità e interazione con l’ambiente circostante”, chiarisce Giulio Sandini, direttore del dipartimento di Robotics, Brain and Cognitive Sciences di Iit. “Questo risultato è in forte accordo con altri studi che abbiamo condotto negli anni, i quali dimostrano come la calibrazione tra i sensi avvenga durante lo sviluppo, agendo sulla plasticità del cervello. Tali studi ci stanno guidando nello sviluppo di nuove tecnologie per la riabilitazione di persone con disabilità sensoriali”.

    I risultati dello studio, spiegano i ricercatori, permetteranno ora di mettere a punto programmi di riabilitazione mirata, diretti al miglioramento della capacità di movimento e deambulazione di bambini e adulti con disabilità visiva. I ricercatori infatti sono già a lavoro su un dispositivo indossabile (che verrà realizzato nell’ambito del programma di ricerca Abbi) che permetta di definire e sperimentare un protocollo per la riabilitazione spaziale nel bambino con disabilità visiva a partire da 1 anno di età.

    Riferimenti: Impairment of auditory spatial localization in congenitally blind human subjects; Monica Gori1, Giulio Sandini1, Cristina Martinoli e David C. Burr; Brain doi: 10.1093/brain/awt311

    Credits immagine: Thomas Leuthard/Flickr

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