In alta quota sale anche la pressione arteriosa

    Da oggi, alle raccomandazioni già note per chi soffre di ipertensione se ne dovrà aggiungere una nuova: evitare le camminate ad altitudini estreme. Uno studio dell’Università di Milano-Bicocca e dell’Istituto Auxologico Italiano, pubblicato sull’European Heart Journal, dimostrerebbe infatti che la ridotta disponibilità di ossigeno in alta quota può causare un pericoloso aumento della pressione arteriosa nelle 24 ore, e che ad altitudini superiori ai 3.400 metri i comuni farmaci per la pressione alta smettono di essere efficaci.

    Lo studio è stato svolto ad una quota di 5.400 metri, l’altezza del Campo Base da cui si esplora il Monte Everest. La ricerca ha coinvolto un gruppo di volontari sani che normalmente vivono, lavorano e svolgono attività sportive a livello mare, con lo scopo di indagare gli effetti sulla pressione arteriosa e altri aspetti della funzione cardiorespiratoria dovuti all’esposizione acuta e prolungata alla ridotta disponibilità di ossigeno in alta quota. I risultati possono tuttavia essere di interesse anche per persone che, pur trovandosi a bassa quota, si trovino temporaneamente in ipossia, cioè privi di un adeguato apporto di ossigeno. È quello che succede ad esempio in caso di apnee notturne, episodi che riducono a intermittenza la concentrazione di ossigeno nel sangue facilitando la comparsa di ipertensione arteriosa e il rischio di attacchi ischemici o cardiaci.

    Per lo studio, tredici ricercatori hanno raggiunto insieme ai 47 volontari il campo base sud (lato Nepalese) del monte Everest, ad un’altitudine di 5400 metri sul livello del mare. Prima, però, ci sono state delle tappe intermedie: partenza da Milano (altitudine 120 metri) con volo in direzione Kathmandu, Nepal (1355 metri), dove il gruppo si è fermato per tre giorni. Poi, ricercatori e volontari si sono spostati rapidamente, ancora in volo, a Namche Bazaar, sempre in Nepal (3400 metri), dove sono rimasti per altri tre giorni prima di iniziare il trekking di risalita (5 giorni) verso il campo base dell’Everest, dove si sono fermati per 12 giorni.

    I volontari sono stati assegnati in modo casuale a ricevere un placebo o un farmaco comunemente utilizzato in clinica per la terapia dell’ipertensione arteriosa, il telmisartan (80mg). I risultati mostrano come sia nei soggetti randomizzati al trattamento con farmaco attivo, sia in quelli randomizzati a placebo, cioè senza terapia, la pressione aumenti significativamente in quota rispetto ai valori iniziali, soprattutto nelle ore notturne, e come l’assunzione del farmaco antipertensivo possa permettere di contenere questo fenomeno, ma solo fino a determinate quote.

    “Il nostro studio fornisce la prima dimostrazione sistematica che con l’aumentare della quota aumenta progressivamente e marcatamente la pressione arteriosa”, spiega Gianfranco Parati, coordinatore del progetto, professore ordinario di Malattie dell’Apparato Cardiovascolare dell’Università di Milano-Bicocca e Direttore del Laboratorio di Ricerche Cardiologiche dell’Istituto Auxologico Italiano. “Questo incremento avviene immediatamente al raggiungimento dell’alta quota, perdura durante l’esposizione prolungata all’alta quota ed è evidente durante tutto l’arco delle 24 ore, ma con un incremento maggiore nelle ore notturne, con conseguente attenuazione della fisiologica caduta notturna della pressione. La pressione si normalizza una volta ritornati al livello del mare. Inoltre, l’aumento della pressione sistolica al Campo Base dell’Everest è stato maggiore in persone di età superiore ai 50 anni rispetto ai soggetti più giovani”.

    Riferimenti: Changes in 24 h ambulatory blood pressure and effects of angiotensin II receptor blockade during acute and prolonged high-altitude exposure: a randomized clinical trial; Gianfranco Parati, Grzegorz Bilo, Andrea Faini, Barbara Bilo, Miriam Revera, Andrea Giuliano, Carolina Lombardi, Gianluca Caldara, Francesca Gregorini, Katarzyna Styczkiewicz, Antonella Zambon, Alberto Piperno, Pietro Amedeo Modesti, Piergiuseppe Agostoni, and Giuseppe Mancia; European Heart Journal doi: 10.1093/eurheartj/ehu275

    Credits immagine: Andrew Purdam/Flickr

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    1 commento

    1. La pressione arteriosa che viene normalmente misurata è la differenza tra la pressione nel circuito arterioso che è determinata dalla forza con cui il cuore pompa ( oltre che dalla sezione dei vasi e dalla loro elasticità ) e la pressione atmosferica . Dire che si ha una press. di 120 mmHg vuol dire che la pressione nel circuito interno supera quella atmosferica di 120 mmHg e, infatti, se si buca un vaso sanguigno il sangue schizza verso l’esterno. In alta montagna la pressione atmosferica è minore che al livello del mare, e quindi la differenza tra press. int. e press. est. necessariamente aumenta. Non vedo come in questo discorso ci possa entrare la concentrazione di ossigeno.

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